Mercoledì 24 Aprile 2024

Dal nostro inviato al bar

di Giovanni

Morandi

Quando il Festival di Sanremo era ancora artigianale Gian Carlo Fusco, uno dei migliori giornalisti che abbia avuto l’Italia, si autoinviava per “Il Giorno“ al bar Vinci vicino a piazza Piola, a Milano. Un bar che era un posto perfetto per sondare gli umori in un’epoca in cui pochi ancora avevano la tv in casa. Lì infatti trovavi un mix ideale, fatto di operai, di studenti del Politecnico e anche di nomi famosi della musica leggera perché il parroco yéyé del quartiere aveva una sala fonica che era frequentata da cantanti come Marino Barreto, Wilma De Angelis, Betty Curtis, Arturo Testa e anche loro bazzicavano il Vinci. Così nelle tre sere del festival Fusco avvolto da soffocanti nuvole di sigarette si piazzava in fondo alla saletta

tv, guardava, ascoltava la musica, raccoglieva commenti, prendeva appunti.

E così fece e ne scrisse anche nel festival del ‘59 che fu vinto da Modugno con “Ciao ciao bambina” (Piove), motivo che ammiccava alla fine delle case di tolleranze che furono chiuse dalla legge Merlin pochi mesi prima di Sanremo. "Ciao ciao bambina un bacio ancora e poi per sempre ti perderò". Fusco registrava i commenti della platea, che è lecito immaginare leggermente maschilisti e i pronostici davano come vincitrice Nilla Pizzi. Una sorpresa fu anche “Io sono il vento” di Arturo Testa, che però non piaceva al pubblico del Vinci anche se si piazzò seconda, dignitosamente. Glaciali i giudizi sui due presentatori, la bella milanese Adriana Serra, che era una nota signorina buonasera e il non ancora apprezzato Enzo Tortora liquidato da Fusco come "inutile".

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