Venerdì 26 Aprile 2024

Cristiano e gli altri: "Ora cantiamo da soli"

Godano al primo album senza i Marlene Kuntz: "I gruppi della mia generazione stanno faticando. Tentiamo qualcosa di diverso".

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di Andrea Spinelli

Nel mondo del rock quello dell’album solista è un invito a cui molti rispondono senza essere stati chiamati. Ma ci sono casi in cui è una reale urgenza, che nasce dalla necessità di ritirarsi, almeno per un po’, dalla forzosa comunione del gruppo per imboccare strade altrimenti difficilmente praticabili. C’è chi inizia a pubblicare dischi a proprio nome per dire addio ai compagni come Morgan, e chi, invece, preferisce farlo solo per prendersi delle pause, come Piero Pelù, Manuel Agnelli o Francesco Sarcina. Cristiano Godano, che aveva anteposto finora "il piacere del dovere verso la band" alle ambizioni private verso la ambizioni private, ci ha messo trent’anni per pubblicare Mi ero perso il cuore, primo album lontano dai Marlene Kuntz.

Cristiano, da soli è meglio?

"È diverso. In un gruppo devi avere un’attitudine democratica per tutto quel che fai. Non puoi tiranneggiare, ma tendere sempre a un risultato che rappresenti il giusto equilibrio delle componenti in gioco. Specie se il rapporto coi compagni nasce da un’amicizia consolidata come quella dei Marlene".

Però poi accade.

"Finora ho sempre pensato di dover dare anima e corpo al progetto Marlene Kuntz perché è quello per cui ho sognato e lottato una vita intera. Col tempo, però, mi sono reso conto che quello della ballata lenta, densa, intensa, era un mondo difficile da focalizzare appieno in una formazione costituzionalmente lontana da certi climi come la nostra; e ho voluto tentare qualcosa di diverso".

È in arrivo pure il primo disco solista di Francesco Bianconi dei Baustelle. Sono i tempi a spingere le anime creative a mettersi in gioco in prima persona?

“Bè, non essendo più il riferimento dei giovani, il rock in questo momento fatica abbastanza ad andare avanti perché le piattaforme remunerano solo cifre spaventosamente alte di streaming che nessun gruppo della mia generazione è in grado di raggiungere. Così mi sembra che molti provino a scarnificare la propria musica, ad andare al nucleo per trovare un’altra dimensione. Un azzardo, certo; ma ragionevole".

Quando s’è messo in moto questo processo?

"Circa tre anni fa ho cominciato a comporre brani che sapevo non avrei portato in sala con i Marlene, poi, quando ho pensato che i tempi fossero maturi, ho chiesto a Gianni Maroccolo di aiutarmi a definire il tutto. I pezzi parlano dei demoni della mente e del coraggio della paura; innanzitutto quella per l’ambiente in cui viviamo. Dall’incubo dei cambiamenti climatici, infatti, ne discendono altri, a cominciare dalla cronica inadeguatezza della classe politica".

Il disco l’ha inciso con un’etichetta indipendente. È questa la strada per il ritorno della musica di contenuti?

"Penso che discografici come Toni Verona ed etichette come la sua Ala Bianca possano essere considerati per la musica d’autore elementi non tanto di rinascita quanto di resistenza. A parte quella degli ‘eroi’ del rock, che continuano la loro attività pur sapendo che al momento per loro di grandi spazi non ce ne sono, in giro non mi sembra di vedere arte, ma solo marketing e comunicazione. I ragazzi dell’hip-hop e della trap sono all’opposto del concetto d’artista che ho io; quello che cerca d’imporre un suo stile, di essere originale, di trovare un suono in cui mettere la sua storia e quella dei suoi miti. In questo momento dominato dal business dei grandi numeri, per molti quella di avere pure personalità è una necessità secondaria".

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