Venerdì 26 Aprile 2024

Coronavirus, Mogol e le canzoni contro la paura: ci rialzeremo

Il numero uno dei parolieri scommette sugli italiani. "L’Europa? Una delusione. Ma nel nostro Dna c’è la capacità di reagire, anche da soli"

Giulio Rapetti, più noto come Mogol (Ansa)

Giulio Rapetti, più noto come Mogol (Ansa)

Avigliano Umbro (Terni), 4 aprile 2020 - «No di certo, non rimpiango Milano poichè trascorro queste giornate di reclusione forzata in Umbria, nel mio Centro di Toscolano, in mezzo al verde. Però Milano resta nel mio cuore, è la mia città e la amo con tutto me stesso. Il mio pensiero è lì, inevitabilmente». L’emergenza Covid-19 di Giulio Rapetti in arte Mogol, 84 anni, il paroliere più famoso d’Italia, è un mix di impegno quotidiano nella musica e nostalgia.

Mogol, come vive da lontano la sua milanesità in giornate così complicate per il capoluogo lombardo? «Andando con la mente agli anni della mia giovinezza, quando Milano era sì produttiva come ora ma aveva anche, accanto al senso del dovere, la vocazione al soccorso. Mia madre faceva salire in casa e sfamava chiunque in strada non riusciva a mettere insieme il pranzo con la cena. C’era rigore ma anche altruismo, lo sguardo era volto all’altro».

Già, la solidarietà, che gioca un ruolo rilevante nell’attuale crisi da virus... «Usciremo da questa vicenda con una diffusa crescita spirituale, ne sono sicuro. L’emergenza, col suo obbligo di allontanamento sociale, solo apparentemente ci separa mentre in realtà accosta le coscienze di ciascuno e accomuna le sofferenze. Abbiamo bisogno l’uno dell’altro, lo comprendiamo ora per la prima volta». 

Tuttavia si tratterà di ripartire anche a livello economico, bisognerà riaccendere i motori. Lei come la vede? «Guardi che l’economia non è e non può essere un comparto disgiunto dai valori sociali. Impariamo adesso in concreto che non si vive di solo profitto e io in fondo lo compresi già 28 anni fa, quando decisi di far nascere nel cuore dell’Umbria, allora più che mai lontana da ogni centro di potere, la mia scuola di musica. Mi diedero del matto, mi guardarono con compatimento. Ma è poi la storia, quella collettiva e quella personale di ognuno, a dare torto o ragione».

Mogol, bene le soluzioni individuali, ma è l’Italia a dover dare una risposta diretta allo spauracchio-Coronavirus e l’impressione è che in molti ci abbiano lasciati soli... «La cosa mi turba e mi offende. È un gran dispiacere dover osservare come l’Europa, che avevo immaginato federale e solidale, in realtà non faccia quanto dovrebbe per sostenerci. È una delusione, l’ennesima. Anche perché gli italiani hanno dimostrato nel Dopoguerra di avere nel dna gli elementi per ripartire».

Era la stagione del boom, al termine della quale lei avviava con Lucio Battisti una straordinaria avventura culturale. A proposito, come avrebbe vissuto Battisti questo periodo? «Sarebbe stato a suo agio. Lucio non era mondano, non usciva spesso da casa, non partecipava a eventi. Avrebbe sfruttato queste settimane per comporre e studiare, per creare. Con gli strumenti di oggi avrebbe ‘viaggiato’ nel panorama musicale mondiale, valutando le nuove tendenze alla luce della propria creatività. Avrebbe sfornato nuovi brani. E, ne sono certo, sarebbero state canzoni bellissime».

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