Mercoledì 24 Aprile 2024

Cannes 2018, ecco Lazzaro felice. Rohrwacher da favola

La regista: "Narro della bontà, oltre ogni calcolo".

Incursione di Benigni a Cannes 2018 per 'Lazzaro felice' (Ansa)

Incursione di Benigni a Cannes 2018 per 'Lazzaro felice' (Ansa)

Cannes, 14 maggio 2018 - La dinamica sociale dominante li chiamerebbe perdenti. Sono invece l’espressione di un’umanità che niente chiede all’altro se non speranza e fiducia. La loro disponibilità è totale, il loro disinteresse evidente:incarnano una carità cristiana inconsapevole, sono individui senza aggettivi, quasi stupiti di esistere. La loro bontà non è frutto di scelta: non sanno essere diversamente. Candidi, idioti, santi dipende dalla tradizione religiosa, letteraria filosofica. “Lazzaro felice” è il titolo e del sorprendente film di Alice Rohrwacher e il suo protagonista è una personale epitome di questo carattere, non a caso posta in un tempo fittizio assolutamente elastico. 

image   Lazzaro è il più giovane esponente di una larga famiglia di contadini, mezzadri di una fattoria appartenente alla marchesa Alfonsina (interpretata da una Nicoletta Braschi perfetta nell’esprimere perfidia) quando la mezzadria è stata cancellata da tempo. Sono schiavi ma ingenui e a loro modo felici perché fuori dalla storia, come i borgatari pasoliniani. Quando l’inganno della padrona è scoperto tutto cambia: la fattoria viene forzatamente abbandonata, si dischiudono le porta della metropoli, dove gli ex contadini sono solo emarginati, ridotti a una sopravvivenza quotidiana che non dipende più dalle loro mani e dal loro sapere. Lazzaro, che nel frattempo è stato graziato da un lupo (così da rendere fin troppo evidente il richiamo francescano), si mette alla ricerca del figlio della marchesa, l’unico diverso in quanto padrone, che abbia conosciuto. Ma la città porta con sé la storia, quindi la corruzione e la morte ( ancora Pasolini docet). Alla fine parabola religiosa («di una religione dell’umano» come la chiama la regista) si tinge dei colori cupi dell’oggi dove per la bontà non c’è davvero posto (e qui spunta Zavattini). 

image   Rispetto al forse sopravvalutato “Le meraviglie” il nuovo film di Alice Rohrwacher ha il pregio di avere una drammaturgia più articolata e dei caratteri più sviluppati, anche se in molti passaggi appare scopertamente programmatico. Il tema comunque avvince e i prolungati applausi, una decina di minuti, con cui è stato accolto lo dimostrano.  «È un film bislacco ma assolutamente libero, davvero non pensavo a un’accoglienza così clamorosa». Alice Rohrwacher, che parla a fianco della sorella Alba interprete di punta del film, usa la lingua franca di chi è giovane ed entusiasta. «Avevo altri progetti ma a questo ho dato la precedenza perché non volevo che la scomparsa della mezzadria, con strascichi che ancora si vedono nelle nostre campagne, apparisse troppo lontana nel tempo. Lazzaro – prosegue la regista - è un animo buono, oltre ogni razionalità: in lui c’è una forte dimensione religiosa, nel senso preistorico del termine. Non giudica ma ha una fiducia incondizionata nel prossimo. E anche se la mia è una fiaba, io Lazzari così nella realtà li ho incontrati davvero. Lazzaro è una persona concreta ma è anche un simbolo, quello della possibilità di stare al mondo e fidarsi degli uomini di cui abbiamo infinito bisogno».    Poi l’argomento del giorno affiora immancabile: «La montée des marches di ieri è stata indimenticabile e ha ricordato che nella storia del Festival vi sono state 82 registe contro 1645 uomini. Essere donne e essere registe identificano percorsi paralleli che non si sovrappongono, quello che conta è lo sguardo femminile che deve essere sempre più presente».

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