Giovedì 25 Aprile 2024

"Amore e dolore: la mia Oriana, una donna"

Giulia Weber interpreta la Fallaci nello spettacolo teatrale “Morirò in piedi“. "Mi ha commosso il saluto alla madre prima di morire"

di Olga Mugnaini

È morta in piedi, come aveva vissuto. Si è permessa di offendere anche quel tumore che l’ha straziata, ma non annientata. E per rabbia gli fuma addosso: "Sei stupido caro male alieno, perché finirai con me, entrambi sconfitti". Oriana Fallaci. Ci hanno provato in tanti a raccontarla. Ma a quindici anni dalla sua scomparsa sono ancora molti gli aspetti che sfuggono o che seducono. Soprattutto quelli della donna, più che del personaggio.

Così ci prova anche un nuovo spettacolo teatrale che debutta domani sera al Niccolini di Firenze, tratto dal libro di Riccardo Nencini Oriana Fallaci. Morirò in piedi (Polistampa), per la regia di Roberto Petrocchi, in scena Giulia Weber e Fulvio Cauteruccio e Flavia Pezzo, dal titolo Morirò in piedi, in cui la Fallaci consegna, negli ultimi giorni di vita, una sorta di testamento, pubblico e privato.

Giulia Weber, lei sarà Oriana Fallaci. Da cosa comincia il racconto?

"Da Oriana bambina che fa la staffetta partigiana a Firenze e che va a consegnare cibo e armi. Sa come faceva?"

Lo dica.

"Attaccava un portapacchi alla sua bici e dentro metteva frutta e verdura. Toglieva il “cuore“ dal cesto dell’insalata e dentro nascondeva le bombe. Così fece anche quando andò a portare una pistola e cibo a Carlo Levi nascosto in piazza Pitti".

Oriana ragazzina. Oriana donna e l’amore per Alexandros Panagulis, l’oppositore alla dittatura dei Colonnelli in Grecia.

"Un amore è per sempre, ci lascia scritto. Non lo ha mai tradito, né da vivo né da morto. Per lei era prima di tutto un poeta, che vedeva le cose più lontano degli altri. Lei diceva: piangere asciutto, per imporsi la compostezza del dolore. Ma gli anni di torture subite dal suo Panagulis e poi la sua morte, sono stati drammi che forse le hanno fatto scendere anche le lacrime".

Veniamo a quella mancata maternità, raccontata anche nei suoi romanzi.

"Non è mai stata persona che si prestava alla compassione, ai rimpianti o ai rimorsi. Ma i suoi due aborti sono stati una ferita profonda, tanto da farle dire “forse se avessi fatto un’altra vita, se fossi stata più attenta...“ Ma non poteva fare un’altra vita, non poteva essere diversa dalle urgenze che nascevano dal suo impegno di giornalista e di scrittrice".

Come l’inviata di guerra...

"Già, la guerra. Dalla resistenza italiana al Vietnam, dal Messico a ovunque ci fosse da raccontare la verità, India, Africa, America... Fu proprio a Città del Messico nel 1968 durante gli scontri di Piazza delle Tre Culture che rimase ferita ma, creduta morta, fu buttata in un obitorio sopra a un mucchio di cadaveri. Solo un prete si accorse per caso che era viva e la fece portare in ospedale".

Le guerre e le interviste ai potenti della Terra.

"E chi si dimentica di quando intervistando Khomeini lo apostrofò come “tiranno“, togliendosi il chador di testa!"

Sì ma lei, Weber, da cosa è rimasta più commossa di tutta la sua storia?

"Dall’ultimo saluto alla madre prima di morire. Quel dirle grazie per averla messa al mondo, lei che invece non era riuscita a fare figli. Quel ringraziarla perché la vita, dice, vale sempre e comunque la pena di essere vissuta. E quel voler morire guardando l’Arno, per chiudere un cerchio, per tornare, lei che era ovunque nel mondo, nel punto esatto da dove era partita".

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