Giovedì 25 Aprile 2024

Africano e profugo, un Nobel (anche) politico

Il re della letteratura 2021 è Abdulrazak Gurnah, scrittore di lingua inglese nato a Zanzibar, per "l’analisi degli effetti del colonialismo"

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di Lorenzo Guadagnucci

Sì, il Nobel per la letteratura è andato (a sorpresa) a uno scrittore di origine africana, ma no, il prescelto non è l’atteso keniano Ngugi Wa Tiong’o, bensì (seconda sorpresa) Abdulrazak Gurnah, romanziere di lingua inglese (nonché critico e studioso fra gli altri dello stesso Tiong’o) nato nel ’48 nell’allora Sultanato di Zanzibar, oggi parte della repubblica della Tanzania. È un Nobel assegnato con motivazioni storico-politiche, oltre che letterarie: Gurnah è stato scelto, parole degli accademici svedesi, "per la sua intransigente e profonda analisi degli effetti del colonialismo e del destino del rifugiato nel divario tra culture e continenti".

Il neo premio Nobel ha una storia personale da rifugiato: arrivò a Londra nel 1968 insieme al fratello; aveva vent’anni, 400 sterline in tasca e la sensazione d’essere un fuscello nel vortice dei processi di decolonizzazione. La sua isola, Zanzibar, famosa nei secoli per il commercio degli schiavi, passata attraverso il dominio degli arabi, dei portoghesi, degli inglesi, era stata sconvolta nel ’64 da una “rivoluzione“ che aveva posto fine al sultanato. "La rivolta – ha raccontato Gurnah in un intervento sul Guardian del 2001 – portò a sconvolgimenti catastrofici. Migliaia di persone furono massacrate o imprigionate, intere comunità furono espulse. Nel caos e nelle persecuzioni che seguirono, un terrore vendicativo dominò le nostre vite".

In Inghilterra Gurnah visse esperienze che si sono riversate nei suoi romanzi: "Fu uno choc – ancora parole sue – scoprire il senso di disgusto che suscitavo negli altri e che si manifestava in sguardi, sberleffi, parole e gesti. (...) Se ci fosse stato un posto dove fuggire, sarei partito, ma non potevo più tornare indietro". Le cose, col tempo, sono cambiate ("Quelle persone disprezzate sono diventate cittadini britannici") e Gurnah stesso è diventato professore di letterature post coloniali all’Università del Kent, ma le questioni dell’asilo e del confronto con l’emigrante e il rifugiato restano aperte, nel Regno Unito come nel resto del mondo. Sono anzi questioni cruciali di questo inizio di millennio.

"Gli emigranti – ha detto ieri lo scrittore, appena saputo del premio – sono una ricchezza. Le persone si sono sempre spostate in tutto il mondo. La migrazione degli africani verso l’Europa è un fenomeno relativamente nuovo, ma il motivo per cui è così difficile per gli stati europei fare i conti con questa realtà, penso che sia una sorta di avarizia". Un’avarizia che l’Accademia di Svezia, scegliendo questo autore ancora poco conosciuto, vorrebbe contribuire a superare. Gurnah è il quinto scrittore africano a vincere il Nobel (l’ultimo fu il sudafricano Coetzee nel 2003), ma è solo il secondo di pelle nera, dopo il nigeriano Soyinka (premiato nel 1986), e succede, in quanto a “negritudine“, alla statunitense Toni Morrison, premiata quasi trent’anni fa, nel 1993.

Gurnah, come letterato, è un autore tipicamente postcoloniale, che vive e pensa a cavallo fra i contintenti e usa la lingua del colonizzatore per mettere a nudo le conseguenze della colonizzazione. Si muove, in questo senso, sulla scia di autori (e premi Nobel) come Derek Walcott, V. S. Naipul, Nadine Gordimer. Nei suoi romanzi Gurnah scava nelle profondità dell’umano: lo spaesamento e i traumi dell’oppressione sono colti con finezza e nella varietà delle sfumature. "È un grande scrittore – ha detto ieri la sua traduttrice in italiano Laura Noulian – per la forza letteraria della sua pietas".

Poco tradotto (e finora poco letto) sia in italiano che in francese, è autore di una decina di romanzi, del quali solo tre usciti nel nostro paese, per l’editore Garzanti. Il più noto – Il paradiso – ha come protagonista un giovane schiavo, che compie un viaggio “alla Conrad“ attraverso il continente africano, affrontando i conflitti, la violenza, le difficoltà della convivenza fra diversi, ma conoscendo anche l’amore. Una storia che ha una sorta di sequel nel romanzo uscito l’anno scorso (ancora non tradotto), Afterlives, ambientato alla vigilia della Prima guerra mondiale nell’Africa orientale tedesca (il Tanganika, oggi Tanzania) e che affronta ancora una volta il tema dell’ostilità verso l’altro: "È un libro – ha detto lo scrittore quando ancora non immaginava di ricevere notizie da Stoccolma – che esce in un momento fortunato, perché le ex potenze coloniali sono nuovamente sfidate ad affrontare la propria storia".

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