Mercoledì 24 Aprile 2024

Tunisia sull'orlo del baratro, dalla primavera alla grande fuga

Inflazione in doppia cifra, disoccupazione al 15,3% e debito pubblico fuori controllo: default a un passo. La stretta autoritaria del presidente Saied ha spento le speranze di democrazia e scatenato le proteste

Roma, 27 marzo 2023 - Un Paese in crisi profonda che si ripiega su stesso. È la Tunisia di oggi. Le cifre descrivono meglio di ogni parola lo stato del Paese. L’inflazione è volata al 10,4 %. Il tasso di disoccupazione è al 15,3%, il debito pubblico ha toccato i 34 miliardi di euro, sfiorando il 100% del Prodotto interno lordo. Secondo alcuni analisti la Tunisia rischia il fallimento nel giro di sei-nove mesi. Triste epilogo per lo stato che nel 2011 aveva aperto la stagione delle primavere arabe con la rivolta contro l’autocrate locale Ben Ali costretto a fuggire in Arabia Saudita. Dopo il calo dell’afflusso di turisti nel periodo del Covid la Tunisia ha risentito della guerra in Ucraina. Secondo l’Istituto di studi di politica internazionale più della metà delle sue importazioni di grano veniva dall’Ucraina e dalla Russia, ma il governo ha negato un intervento nel sistema dei sussidi alimentari. Una ciambella di salvataggio da 1,9 miliardi potrebbe arrivare dal Fondo monetario internazionale, se si riuscisse a superare il blocco degli Stati Uniti che non accettano il piglio autoritario del presidente tunisino Kais Saied.

Sostenitori del presidente Kais Saied celebrano il 67esimo anniversario dell’indipendenza
Sostenitori del presidente Kais Saied celebrano il 67esimo anniversario dell’indipendenza

Il 21 febbraio, nella sua ultima esternazione pubblica, il capo dello stato ha messo nel mirino i migranti subsahariani denunciando "un piano criminale per cambiare la composizione demografica della Tunisia". "Ci sono alcuni individui – ha rincarato – che hanno ricevuto grosse somme di denaro per dargli la residenza. La presenza di questi immigrati è fonte di atti violenti e di crimini inaccettabili. È il momento di mettere la parola fine a tutto questo, perché c’è la volontà di far diventare la Tunisia solamente un Paese africano e non un membro del mondo arabo e islamico". Dopo questo discorso molti subsahariani, anche non irregolari, hanno perso il lavoro o l’abitazione. Per ordine di Saied Il 19 febbraio Esther Lynch, irlandese, segretaria generale della Confederazione europea dei sindacati, è stata espulsa. A Sfax, durante una manifestazione di protesta organizzata dall’Unione generale del lavoro della Tunisia, in sigla Ugtt, aveva chiesto il rilascio del leader sindacale Anis Kaabi, arrestato dalle forze di sicurezza in gennaio. Nell’ordine di espulsione si legge che le sue parole "interferiscono con gli affari interni tunisini".

Anche nel mondo accademico Saied sta innescando critiche pesanti. Hamadi ben Jaballah, professore aggregato di Scienze umane e sociali all’Università di Tunisi, ha dichiarato a “Radio Mosaique”, un’emittente della capitale, che "il presidente ha mancato l’occasione di diventare un leader nazionale come Bourghiba".

L’Italia sta cercando in ogni modo di stabilizzare il vulcano tunisino. Il ministro dell’interno Matteo Piantedosi in aprile tornerà nel Paese con la commissaria europea Ylva Johansson e con i pari grado francese e tedesco per "offrire alla Tunisia una collaborazione volta a fornire strumenti per fare in modo di prevenire le partenze. Certo, bisognerà vedere quale sarà la postura degli altri Stati europei, ma sono convinto che in questo modo potremmo anche dare l’idea di una compensazione di aiuto". "Non possiamo abbandonare la Tunisia – ha spiegato a Milano il ministro degli esteri e vicepremier Antonio Tajani in un intervento alla scuola di formazione politica della Lega – altrimenti rischiamo di avere i Fratelli Musulmani che possono creare instabilità. Non siamo in grado di permetterci l’islamizzazione del Mediterraneo". Sul tema delle risorse finanziarie il responsabile degli esteri anticipa che l’Italia intende offrire una prima tranche di denari che sarà seguita da una seconda e da una terza in cambio delle riforme. "Dobbiamo – precisa Tajani – investire di più in Africa, non possiamo lasciarli a una sorta di colonizzazione e ad una presenza eccessiva cinese e russa. Serve un vero piano Marshall".