Venerdì 26 Aprile 2024

La sinistra divisa e la pace ipocrita dei se e dei ma

Mentre Putin semina stanchezza, disorientamento e odio. Ma la guerra in Ucraina costringe a schierarsi. E schierarsi ha sempre dei costi

Agnese Pini

Agnese Pini

Quante sfumature di pace si contavano ieri nelle due piazze divise. Roma e Milano hanno messo in scena i pezzi di una sinistra, di un centrosinistra, di un polo progressista o come lo si vuole chiamare, che stenta a ritrovare una strada di respiro e di visione. E certo erano buone e belle le intenzioni, perché spendere il proprio tempo per un’idea ha in sé sempre qualcosa di intrinsecamente nobile. Ma il risultato finale è suonato come quello di una pace pasticciata, piena di distinguo e di passi di lato, di imbarazzi e di giravolte: il Pd, che fino a ieri nel governo Draghi sosteneva una linea ferrea sulle modalità di aiuto all’Ucraina invasa dalla Russia (esprimendo tra l’altro il ministro della Difesa), si è trovato a barcamenarsi in cerca di una posizione che non cedesse del tutto all’incoerenza ma segnasse un cambio di passo.

In quale direzione? Non era affatto chiaro. Mentre chiari sono stati gli effetti: Letta fischiato, Conte che si prende la scena, il Terzo Polo che cerca la riscossa con Letizia Moratti in inedita versione di alfiere della Resistenza. Sono forse gli effetti collaterali di una sonora sconfitta elettorale, con una classe politica disorientata e in cerca di una nuova identità (o unità), per se stessa e per i suoi elettori. Ma il rischio di sbandare clamorosamente è fin troppo alto. Del resto abbiamo scoperto in questi otto mesi, da quando Putin ha dichiarato guerra, che non esiste terreno di scontro più fertile di quello ambiguo e controverso di chi predica la pace. La pace, si badi bene, in Ucraina, e non per l’Ucraina. Perché sta tutta qui, in queste due minute preposizioni (in e per) la differenza sostanziale dell’obiettivo da perseguire.

Chi predica la pace in Ucraina, punta a un tipo di pace che non dà fastidio a nessuno, la pace senza costi, la pace che esclude sanzioni e conseguenze, che esclude quindi solidarietà piena e pieno sostegno. È la pace della resa, comoda per chi la osserva da spettatore, e che finisce per trasformarsi in un’idea vuota, una frase di circostanza per farci sentire più buoni e con la coscienza limpida. Ma che ci condanna all’ipocrisia e alla sconfitta delle idee e della giustizia. Ha detto bene lo scrittore ucraino Serhiy Zhadan: non c’è pace senza giustizia. Perché la giustizia non prevede l’equidistanza ma prevede l’empatia, il sentire il dolore degli altri. Costringe a schierarsi, a prendere una posizione. Ecco cos’è la pace per l’Ucraina. Schierarsi ha sempre dei costi. In Europa i costi sono le ripercussioni pesantissime sull’energia, sull’economia, sulla tenuta politica delle leadership e del suo progetto comunitario: sono, in buona sostanza, le fondamenta dell’Europa stessa. Questa è la posta in gioco, il prezzo della guerra. In questo solco di logoramento (quanto era più facile essere uniti nei primi giorni dell’invasione) Putin sta seminando stanchezza, disorientamento e odio. Al punto da mostrarci in modo ormai inequivocabile che siamo noi - non solo l’Ucraina ma l’Europa tutta, con le sue idee, i suoi valori e la sua civiltà - il vero, finale, obiettivo della guerra. Il vero avversario.