Mercoledì 24 Aprile 2024

Più spread, meno potere d’acquisto. E Moody’s avverte: rating a rischio

Nel mirino dell’agenzia l’alto debito italiano e politiche fiscali lassiste. "Riforme per la crescita"

Un anno di inflazione

Un anno di inflazione

Giorgia Meloni dovrà fare i conti con quello che va sempre più configurandosi come uno scenario drammatico: le famiglie italiane, sotto il peso del calo del potere d’acquisto, arrancano per tirare avanti, tanto da essere costrette a intaccare i risparmi per pagare il conto salato presentato dall’inflazione. E, mentre il Bel Paese vacilla sull’orlo della recessione, arriva anche la minaccia firmata Moody’s.

Gli analisti dell’agenzia internazionale mandano un messaggio chiaro: "Probabilmente declasseremo i rating dell’Italia", dall’attuale B ad A3, in caso di "mancata attuazione delle riforme a favore della crescita, comprese quelle delineate nel Pnrr". Ma "anche "politiche fiscali e/o economiche che indeboliscono il sentiment del mercato e l’aumento dei livelli di indebitamento nel medio termine" porterebbero al ribasso dei rating. Una situazione che si riverbera da subito sui mercati: con lo spread a quota 243 punti e i rendimenti dei titoli Btp decennali che registrano il rialzo più consistente dal marzo del 2020, nel bel mezzo dello scoppio della pandemia, al 4,45%.

In questo difficilissimo contesto, poco consolano alcuni pur importanti dati economici in miglioramento. Se è vero, infatti, che i conti pubblici lasciati dal governo Draghi migliorano; che il Pil del secondo trimestre 2022, secondo le stime Istat, vola al +5%; che il rapporto deficit/Pil scende dal 7,6% al 3,1%; che, grazie all’inflazione e all’Iva, le entrate volano a +13,4% (periodo gennaio-agosto), tutto questo, però, non cancella il fatto che le famiglie italiane stanno tirando la cinghia e che all’aumento dei prezzi di beni e servizi non ha corrisposto un allentamento della pressione fiscale, che invece è salita al 42,4% con aumento di 0,3 punti. Mentre la propensione al risparmio (cioè quanto del reddito viene accantonato) è scesa di 2,3 punti percentuale arrivando a 9,3%. E solo per questo i consumi sono cresciuti. La fotografia che si sviluppa dalle due note dell’Istat è, dunque, ampiamente distonica e racconta di due mondi: uno numerico, delle ragionerie e dei bilanci, l’altro reale, dei supermercati, dei bar, degli acquisti e delle bollette da pagare.

Autunno gelido, dunque, per gli italiani, dopo l’illusorio ottimismo della primavera-estate. Oggi il caro prezzi morde il portafogli delle famiglie, che cambiano abitudini e consumi. La qualità degli acquisti scende e cresce il ricorso ai discount alimentari. Sono gli unici canali nel settore del commercio alimentare ad aver aumentato il numero di pezzi venduti, mentre soffrono iper e supermercati.

L’Istat ha fotografato una dinamica sostenuta: a luglio il fatturato dei discount è cresciuto del 12,3%, staccando di almeno 5 punti sia il canale degli ipermercati che quello dei supermercati. Ma per quanto tempo i risparmi e la cinghia stretta degli italiani potranno sostenere l’economia e i conti del Paese, ammortizzando gli effetti dell’inflazione sui consumi?

"Tre sono le grandi emergenze che il nuovo governo si troverà ad affrontare da subito, anche in raccordo con l’Europa: l’emergenza energetica, l’inflazione e il pericolo recessione", attacca il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli che paventa per ottobre un’inflazione al 9%, la chiusura di 120 Pmi con la perdita di 370mila posti di lavoro nella prima metà del 2023.