Mercoledì 24 Aprile 2024

"L’Internet delle cose? Ora viaggia in macchina vicino a noi"

Migration

LA SUA FILOSOFIA è chiara, perché basata su un’analisi dei fatti. "L’Italia nel Novecento era fra i tre Paesi al mondo che hanno dettato legge nel settore dell’auto. Oggi non possiamo più farlo. Dobbiamo trovare un ruolo nel comparto investendo nel futuro. In altre parole: trasformando le nostre competenze tradizionali in opportunità. Abbiamo la possibilità di vincere questa sfida, perché nel mondo c’è ancora tanta voglia di Italia". Alessandro De Martino, 60 anni, amministratore delegato di Continental Italia ha fatto di questa sua riflessione un piano strategico per l’azienda. Uno dei colossi dell’automotive, nel nostro Paese presente con sedi a Milano, Cinisello Balsamo, Arese, Daverio, Torino e Cairo Montenotte, per un totale di 1.095 dipendenti. Nata in Germania nel 1871, Continental è oggi il terzo fornitore automotive a livello mondiale e il quarto produttore di pneumatici. Una realtà importante, capace di fare da termometro all’attuale situazione di un settore che in Italia vale oltre il 10 per cento del Pil. "Siamo in un momento difficile e stimolante insieme – osserva De Martino – come lo sono tutte le fasi di cambiamento. Cambiano i temi tecnici, per esempio l’alimentazione del veicolo. E cambia, soprattutto, il rapporto dei veicoli con il mondo circostante. E questo apre a grandi possibilità dal punto di vista commerciale".

Non è però un processo indolore.

"La tecnologia evolve continuamente e appiattisce i contenuti dei brand delle case automobilistiche che devono inventarsi strategie e prodotti. In questa fase, per esempio, si lavora moltissimo sul rapporto fra il conducente e il mondo che lo circonda. Non è solo un fatto di business. Aggiungere tecnologia significa crescere in sicurezza e aumentare le possibilità di muoversi anche per persone che non possono guidare".

Investire in ricerca e in innovazione è dunque cruciale. Voi in che misura lo fate?

"Investiamo in ricerca il 7-8 per cento del fatturato, che oggi si aggira intorno ai 33 miliardi di euro. Di questi, un terzo è dato dagli pneumatici, la metà dalla componentistica automotive e il resto dalla produzione di accessori in gomma e in plastica. Siamo una delle aziende più attive al mondo sul fronte dei brevetti e dell’innovazione. Fa parte della nostra storia. Continental ha inventato lo pneumatico invernale, poi ha rivoluzionato i sistemi frenanti e negli ultimi 15 anni ha puntato sull’elettronica che ha via via sostituito la meccanica. Ci siamo così specializzati nell’interfaccia fra macchina e guidatore".

La nuova frontiera?

"Nell’immediato l’Internet delle cose. La connettività è la testa di ponte di una serie di innovazioni. Il 5G, per esempio, aumenta il potenziale degli strumenti di controllo. Rispetto all’automazione e alle possibilità che garantisce, il grado di sensibilità cambia da persona a persona. Bisogna dunque assicurare che i veicoli, oltre che all’avanguardia, siano gradevoli per chi li guida".

Già questo un cambio di prospettiva rispetto all’industria tradizionale.

"Vuol dire far parlare mondi che hanno storie diverse. Sia all’interno dell’azienda che fuori. Un veicolo oggi si definisce in base al numero di righe di software scritte per farlo funzionare. Nel 2020 le righe di software per veicolo erano 200 milioni mentre nel 2025 saranno un miliardo. Significa inserire informatica al posto della meccanica. L’automazione tocca ogni ganglio dell’azienda, dai laboratori che fanno ricerca alle strutture della catena commerciale. È una vera rivoluzione, è già in corso e non sappiamo come andrà a finire".

Perché?

"Non sappiamo se a dominare il mercato in futuro sarà il motore elettrico e non, che so, l’idrogeno. Le auto voleranno? Le evoluzioni sono lente ma procedono inesorabilmente. E infatti la formazione è un punto imprescindibile".

La chiamano economia della conoscenza.

"Siamo in un mondo in cui le competenze sono sempre più sviluppate e gli investimenti sempre più rilevanti. È necessario però che siano condivisi con alleanze tecnologiche: tutti lavorano con tutti. È necessario anche per ridurre il consumo di energia".

La sostenibilità è un dovere o anche un’opportunità?

"È un’esigenza. E anche una grande opportunità per i giovani, chiamati a dare un apporto importante. Per esempio sviluppando nuove idee".

Il settore dell’automotive ha paura della transizione ecologica.

"La paura per il nuovo c’è sempre stata. Siamo un Paese di creativi e sono certo che troveremo il modo di farcela. Arroccarsi nella difesa del vecchio, d’altronde, non ha senso. E l’Italia da sola non ha il peso per guidare una crociata controcorrente".

A livello europeo l’auto non è più vista di buon occhio.

"In Italia c’è bisogno di mobilità individuale. Avere auto che non inquinano è importante. Ed è una strada percorribile. Due terzi degli italiani abitano fuori dalle città, hanno spazi per parcheggiare i veicoli e per allestire sistemi di ricarica alimentati a energia solare. Non solo. La distanza media percorsa, da noi, oggi non raggiunge la soglia dei 12.000 chilometri all’anno pro capite. Una cifra perfettamente compatibile con l’uso di veicoli elettrici. Questi garantiscono ampiamente un’autonomia di 33 chilometri al giorno e sono ricaricabili nell’arco di meno di una notte".

Non è così facile. C’è, per cominciare, un problema di costi.

"I modelli oggi in commercio costano meno di 50.000 euro e si possono noleggiare. Il problema è la comunicazione. Serve una rete commerciale capace di aiutare gli utenti ad avvicinarsi all’auto elettrica. I giovani sono già disposti a farlo. Forse sono meno interessati al possesso di un’auto e più al suo mero utilizzo. Magari in combinazione con altri mezzi di trasporto. Ma è necessario che la comunicazione che arriva a loro sia diversa da quella vista finora, che offre un’immagine fuorviante della mobilità elettrica".