Mercoledì 24 Aprile 2024

Bitcoin a picco, rischio cripto-bolla. E ora tremano anche i big del calcio

La valuta digitale più famosa chiude sotto i 20mila dollari. Messi e Ronaldo tra i fan della finanza alternativa

Protesta anti Bitcoin in El Salvador

Protesta anti Bitcoin in El Salvador

Milano, 19 giugno 2022 - Da Bitcoin a dead coin. La criptovaluta più famosa è scesa ieri sotto i 20mila dollari, valicando un altro scalino nella caduta inarrestabile cominciata all’inizio di novembre dell’anno scorso, quando aveva toccato la sua vetta storica di 67mila dollari. E la caduta dei Bitcoin trascina con sé tutto il settore, comprese le sorelle più giovani e i fondi specializzati in criptovalute. Anche il prezzo di Ethereum – la seconda della classe, nonché la porta preferenziale di accesso nel mondo blockchain – è andato a testare la pericolosa soglia dei 1.000 dollari.

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Gli investitori, già scottati dal recente crac dell’ecosistema Terra Luna e dalla sospensione dei prelievi annunciata qualche giorno fa dalla piattaforma di depositi Celsius, temono a questo punto un effetto domino con protagonisti dell’ultima ora i fondi hedge. Le difficoltà del fondo Three arrows capital (3ac), ammesse dal suo fondatore Zhu Su, si sono subito riverberate sulle quotazioni dei cripto-asset, che hanno visto nelle ultime ore scendere la capitalizzazione a 900 miliardi, un ulteriore -10% dopo aver perso a inizio settimana la soglia psicologica dei 1.000 miliardi.

Come mai le criptovalute stanno soffrendo così tanto? Il settore è alle prese con lo scoppio di una doppia bolla. La prima origina nel mondo della finanza tradizionale e più nel dettaglio dai titoli tecnologici, a cui le criptovalute sono in questa fase storica estremamente correlate. Una correlazione consolidatasi con l’ingresso nel settore di investitori istituzionali, che le considerano come dei titoli "super-tecnologici", società che sperimentano e investono nel mega-trend della blockchain. Per questo motivo, al pari dei titoli tech, il settore è zavorrato dalle vendite in questa fase di avversione al rischio dei mercati tradizionali, che stanno pagando le conseguenze di banche centrali sempre più aggressive.

I titoli tecnologici danno il meglio in fase di disinflazione, mentre soffrono più di tutti i settori nei periodi in cui l’inflazione galoppa. Non a caso oltre il 50% dei 3.000 titoli che fanno parte del Nasdaq stanno perdendo oltre il 60% dai massimi degli ultimi 12 mesi. Percentuali che stiamo vedendo anche nel mondo cripto. Nella "fabbrica sperimentale della blockchain" la situazione si è però fatta ancora più pesante perché deve fare i conti anche con un’altra bolla, quella della "defi", la finanza decentralizzata. A partire dall’estate del 2020 sono nati numerosi cripto-progetti che offrono i servizi tipici della finanza tradizionale (depositi remunerati, prestiti, eccetera) in ambiente decentralizzato e deregolamentato. I rendimenti offerti da alcune piattaforme hanno superato il 20-30% creando le premesse, in alcuni casi, per la formazione di schemi Ponzi oppure per modelli di business come minimo insostenibili. Da qui una serie di fallimenti, che stanno danneggiando il settore.

A questo punto c’è da chiedersi seriamente se i calciatori fanno bene a farsi pagare in criptovalute. Sempre più i casi illustri, da Lionel Messi, che aveva ottenuto una sostanziosa parte in criptovalute del suo contratto con il Paris Saint-Germain, o l’attaccante uruguagio Luis Suarez, che dall’Atletico Madrid ha lanciato una sua personale collezione di Nft. Quindi Cristiano Ronaldo, che dalla Juve aveva ottenuto diversi fan token come premio per le reti segnate. Gruzzoli che rischiano ora di assottigliarsi.