Mercoledì 24 Aprile 2024

Un anno di guerra ha fatto il vuoto attorno a Putin

Il presidente russo da solo alla messa per il Natale ortodosso: la foto simbolo che dice tutto sul conflitto

Agnese Pini

Agnese Pini

C'è davvero tutto, in quella foto: ci sono la rara sintesi e la potenza evocativa di uno scatto capace di cristallizzare un anno di guerra. Si vede Vladimir Putin, maglione a collo alto e giacca blu, nel Cremlino per la notte del Natale ortodosso. Con lui solo i celebranti, coi ceri accesi, l’altare e le croci. Niente e nessun altro. E così sembra un’epoca fa quando lo zar si faceva bagnare da una folla ben ammaestrata e festante durante la Giornata della Vittoria, il 9 maggio scorso, nella sua Mosca piena di bandiere, mentre parlava di denazificazioni e crociate anti occidentali. Otto mesi dopo, la solitudine del presidente è l’allegoria più drammaticamente calzante del grande vuoto che la guerra in Ucraina gli ha già fatto attorno. Sia fuori dai suoi confini nazionali, sia nel quadro di una stabilità di leadership interna non più così assoluta e scontata.

Se la guerra è ancora tutta da decidere, se la pace è ancora una chimera a fronte della ferocia con cui continua a essere diviso il campo di battaglia, e se gli analisti sono convinti che per avere una tregua sarà necessario ancora molto tempo, è un fatto che gli obiettivi di Putin – non quelli militari ma quelli ideologici e morali – abbiano sostanzialmente fallito. I più importanti: indebolire la Nato, fiaccare l’Unione Europea, esaltare alleanze solide con quei Paesi maggiormente sensibili ai richiami anti occidentali, Cina in primis.

Un anno di guerra ci ha sì mostrato un’Europa disorientata e talvolta impreparata, investita tragicamente dalle conseguenze del conflitto – in termini di profughi, di costi energetici e di riflessi finanziari e industriali – ma assolutamente capace, anche contro le previsioni, di reggere l’onda d’urto. Restando, prima di tutto, unita. È un primato anche storico di cui l’Unione può e deve andare orgogliosa, e rimane – dalla lacerante eredità della seconda guerra mondiale – il principale alleato per arginare la tracotanza nazionalista russa. Se poi, anche alla luce di tutto ciò, la smettessimo una volta per tutte di fare scivoloni storici e culturali contro cantanti, artisti e simboli della cultura russa – l’ultimo, in ordine di tempo: la polemica contro la diva Anna Netrebko, che qualcuno non vorrebbe far cantare ad Arezzo per via dei suoi natali – potremmo dirci davvero compiutamente cresciuti. Come Europa, come popoli e come democrazie.