Mercoledì 24 Aprile 2024

"Tre figli come cura demografica" Ma ci sono le condizioni in Italia?

La proposta di Letta (Pd) fa discutere. "Pochi genitori e troppo grandi. Prima del terzo convinciamoli a fare il primo"

Migration

di Claudia Marin

Il vice-ministro dell’Economia, Laura Castelli, si presenta agli Stati generali della natalità con il figlio neonato in braccio: "È sicuramente una gioia, siamo qui a raccontare la storia di una famiglia felice quale siamo". Carlo Calenda incalza: "Fare figli mi ha salvato la vita. La nascita di mia figlia ha avuto un effetto straordinario perché ero un giovane scapestrato". Ma è Enrico Letta a dare un doppio segnale politico alla kermesse romana e anche lui lo fa partendo da una chiave personale: "Ci sono dei momenti in cui ti fermi e fai dei piccoli bilanci su quello che hai fatto... La cosa più importante che ho avuto è fare tre figli". E – spiega il leader del Pd – per evitare la glaciazione demografica italiana "dovremmo avere due obiettivi: terzo figlio come regola e integrazione dei bambini nati fuori dall’Italia e che diventino italiani. Così potremmo far sì che la natalità non sia più un problema ma una soluzione".

Un tassello per un piano della natalità al quale segue l’altro avviso: "Io penso che sia maturo il tempo per andare a rivedere l’Isee per il tema dell’assegno unico. È un’operazione che oggi ha uno squilibrio". D’accordo il viceministro grillino Castelli: "Penso si debba fare. L’Isee, così com’è strutturato, non è più attuale. È uno strumento che va rivisto in alcuni aspetti, soprattutto se pensiamo all’assegno unico. Con il passare degli anni lo stiamo utilizzando sempre più per far accedere i cittadini a moltissimi servizi. Lavoriamoci per migliorarlo". Ed ecco spuntare anche un’altra proposta-corollario: puntare sulla riduzione dell’Iva al 4 per cento sui prodotti e servizi per l’infanzia. Peccato, però, che principalmente quest’ultimo intervento appare destinato a rimanere sulla carta, se si considerano gli elevati costi di copertura che avrebbe.

A far discutere, però, è il target dei tre figli indicato da Letta. Certo, i numeri dell’inverno demografico italiano non lasciano scampo. Le proiezioni dell’Istat sono nette: se non si cambierà radicalmente la rotta nel 2050 ci saranno 5 milioni di italiani in meno, tra i quali 2 milioni di giovani. In più soltanto il 52% della popolazione sarebbe in età da lavoro visto che il 16% avrebbe sotto i 20 anni ed il 32% sarebbero pensionati. E le nascite passerebbero dalle attuali 399 mila annue, a 298 mila ben lontano dall’obiettivo minimo delle 500 mila per un corretto equilibrio demografico.

Un obiettivo che è anche il titolo degli Stati generali, come avvisa il promotore della due giorni Gigi De Palo: "Si può fare ad invertire la tendenza e a raggiungere i 500 mila nati a patto che tutto il sistema Paese se ne farà carico". Ma come? Il problema è che oggi il numero medio di figli per donna è di 1,25.

E non è detto che la leva indicata da Letta, con il corollario dell’intervento sull’Isee, sia la priorità delle priorità. A spiegarlo è Gianpiero Dalla Zuanna, professore di Demografia a Padova, ma anche ex senatore del Pd: "Premesso che tutte le leve hanno un ruolo, ma come fai a avere il terzo figlio se non hai avuto il primo o il secondo? I dati dicono che il dramma della bassa natalità deriva dal fatto che si comincia a fare figli tardi e che in molti casi non si comincia per niente.

L’età al primo figlio è la più alta d’Europa e la quota di donne senza figli è la più alta del mondo: tra le laureate con oltre 40 anni siamo al 30 per cento di persone senza figli. In realtà, i terzi figli sono spariti da tanti anni, rispetto a quelli che c’erano durante il baby boom. Ma la novità degli ultimi anni è che è calata la quota di persone in coppia conviventi stabili: insomma, le coppie hanno gli stessi figli che avevano dieci anni fa, ma nel frattempo sono calate le coppie conviventi. Una politica che voglia fronteggiare il tracollo della natalità – insiste Dalla Zuanna - deve passare innanzitutto dalla fuoriuscita dalle famiglie di origine dei giovani tra i 20 e i 25 anni per formare una convivenza stabile anche in vista di un figlio. E se viene il primo, può venire anche il secondo. Ma perché tutto questo accada, servono misure di contrasto della precarietà: dunque, contratti stabili, a tempo indeterminato, non tirocini e stage a go go.

Una tesi, quest’ultima, sulla quale converge lo stesso Letta: "Nel 2030 dobbiamo avere una media di uscita dei ragazzi da casa ai 25 anni. Deve finire lo scandalo degli stage gratuiti". Del resto, per il terzo figlio l’assegno unico, anche senza le correzioni ipotizzate dell’Isee, sta svolgendo la sua funzione. Lo conferma lo stesso Dalla Zuanna: "Per il terzo figlio conta molto il dato dei soldi. E se si fanno conti, l’assegno unico che si prende con tre figli e un reddito medio-basso copre il costo del terzo. Come se lo Stato ti pagasse un figlio e gli altri due te li paghi tu". Sulla stessa linea anche l’economista della Cattolica di Milano Marco Fortis, che parla anche di un difetto di comunicazione sui benefici del nuovo strumento.

Secondo i calcoli dell’Ufficio parlamentare di bilancio, con il nuovo assegno una famiglia di lavoratori dipendenti monoreddito con quattro figli e 15.000 euro di Isee riceve in più circa 1.700 euro a figlio. Il vantaggio per figlio scende rispettivamente a 1.250, 1.100 e 1.000 euro per famiglie con tre, due e un figlio.