Mercoledì 24 Aprile 2024

Sul fine vita aspettiamo una legge civile

Il coraggio delle scelte

Si chiamava Federico e in una città di cinquantamila abitanti, alla fine, ci si conosce un po’ tutti. Lo conoscevo, soprattutto, come tifoso della Juventus e l’ho ritrovato, molti anni dopo, come il primo italiano che ha scelto e ottenuto il suicidio assistito. Sono passati esattamente sette mesi da quando Mario – il nome che aveva scelto per non rivelare la sua identità, ma solo la sua condizione di condannato a rimanere per sempre immobilizzato (era tetraplegico) – è diventato per tutti Federico. Allora sull’onda della sua scelta si aprì e si richiuse, quasi immediatamente, il dibattito su come possa essere normato il fine vita. Perché finora in Italia è stato regolamentato solo il primo passaggio: il testamento biologico (e sono già trascorsi cinque anni). Le altre questioni rimangono ancora tutte sul tavolo. Non è bastato nemmeno il richiamo della Corte Costituzionale, era il 2018, che dava un anno di tempo al Parlamento per legiferare. Tanto che la stessa Consulta (a settembre 2019) è stata costretta a esprimersi sul suicidio assistito e più in particolare sull’aiuto al suicidio (il processo a Marco Cappato per la morte di Dj Fabo). In quell’occasione fu evidenziato che la condizione di malato terminale, in grado di decidere pienamente e affetto da patologie, che provocano sofferenze fisiche e psichiche che ritiene intollerabili, assume un ruolo fondamentale. Ed è a quello che Federico si è attaccato per chiedere il suicidio assistito. Nel frattempo, da quell’autunno 2019, si è chiusa una legislatura, se ne è aperta un’altra, ma la questione del fine vita nel nostro Paese, da un punto di vista normativo, non è cambiata di una virgola. Questi temi sono divisivi e su di essi si scatenano battaglie con toni da ultrà, più che un vero e proprio dibattito sulla necessità di una legge civile che tenga conto di diritto alla salute (e alla vita), di libertà e di autodeterminazione. Per quanto ancora resterà così?