Mercoledì 24 Aprile 2024

Sui due fronti regnano le ambiguità

Raffaele

Marmo

La favola bella dell’opposizione finalmente riunita che dalla piazza di Firenze punta a dare l’assalto al cielo si infrange al primo appuntamento parlamentare sull’Ucraina. Ma neanche Giorgia Meloni può stare "tranquilla" di fronte alle ritrosie, per ora linguistiche, della Lega all’invio delle armi a Kiev.

Certo è che i tentativi di ricompattamento, anche visivi, e i proclami unitari di queste settimane, dopo l’arrivo di Elly Schlein alla guida del Pd, potevano far presagire quantomeno lo sforzo di arrivare a una posizione unitaria o, comunque sia, semi-unitaria, nell’aula del Senato. Ma niente di tutto questo è accaduto. E, anzi, Pd, grillini e terzo polo si sono presentati più divisi che mai, con Carlo Calenda che ha appoggiato addirittura la risoluzione della maggioranza.

Insomma, è come essere tornati indietro: perché, al dunque, la principale linea di conflitto tra il Nazareno e il partito di Giuseppe Conte già al momento della caduta del governo Draghi riguardava i termini dell’appoggio all’Ucraina. Oggi, però, la situazione appare anche più complessa, perché la stessa posizione del Pd presenta più elevati margini di ambiguità sull’invio delle armi.

Ci sarebbero fin qui, dunque, sufficienti motivi per far ritenere che Meloni è di fatto, con il suo governo, il solo punto di riferimento affidabile per la Nato, per l’Unione europea e per gli Usa. Se non fosse che la stessa premier, presto o tardi, dovrà fare i conti con le inquietudini e le resistenze dei leghisti rispetto a quella che il capogruppo al Senato del partito di Matteo Salvini ha definito la "tirannia dolce del pensiero unico". Il che non toglie che per il momento sia la presidente del Consiglio – come punto di forza per lei - sia il suo vice – come limite dell’azione - sanno bene che fare un passo falso sulla politica estera porta direttamente alla fine del governo.