Mercoledì 24 Aprile 2024

Simone Moro e Tamara Lunger, incidente sul Karakorum. Salvi gli alpinisti italiani

A raccontare nel dettaglio quei tragici momenti è stato proprio il bergamasco: "Ieri siamo arrivati veramente a un soffio da un epilogo tragico e funesto"

I due escursionisti (Facebook, The Vertical Eye - Matteo Pavana)

I due escursionisti (Facebook, The Vertical Eye - Matteo Pavana)

Bolzano, 20 gennaio 2020 - Tragedia sfiorata durante la spedizione italiana di Simone Moro e Tamara Lunger sulle vette del Karakorum. L'alpinista bergamasco è precipitato per 20 metri in un crepaccio insieme all'altoatesina Lunger, mentre stavano tentando la salita del Gasherbrum I e il concatenamento con il Gasherbrum II, nella catena montuosa del Karakoram, sull'Himalaya. L'uomo ha riportato contusioni alla schiena, la donna una lesione alla mano procuratasi nell'assicurare con le corde il compagno di scalata, che era rimasto sospeso nel vuoto.

La spedizione Moro-Lunger che prevedeva l'attraversamento in invernale - sarebbe la prima in assoluto - del Gasherbrum I (8080 metri) e Gasherbrum II (8035 metri) è stata chiusa. A raccontare nel dettaglio quei tragici momenti è stato proprio Moro, attraverso la sua pagina Facebook. "Ieri siamo arrivati veramente a un soffio da un epilogo tragico e funesto sia per me che per Tamara. Approcciando un crepaccio mi sono messo come sempre in posizione per assicurare Tamara che per prima lo ha attraversato e si è poi portata in zona di sicurezza, 20 metri oltre il crepaccio. Poi è venuto il mio turno e dopo una frazione di secondo, mi si è aperta una voragine sotto i piedi e sono precipitato. Tamara ha subìto uno strappo tanto violento che è letteralmente volata fino al bordo del crepaccio e io in caduta libera a testa in giù per 20 metri sbattendo schiena gambe e glutei sulle lame di ghiaccio sospese nel budello senza fine in cui continuavo a scendere. Largo non più di 50 cm, tutto buio".

Il racconto prosegue: "Sopra Tamara aveva la corda avvolta intorno alla mano e gliela stringeva come una morsa e le provocava dolori lancinanti e insensibilità. Io ero al buio e lei lentamente scivolava sul ciglio del crepaccio. Il tutto complicato dal fatto che lei aveva le racchette da neve ai piedi. Sono riuscito con una mano a mettere un primissimo precario ancoraggio e, pur sentendomi lentamente scendere verso l'abisso ho avuto la lucidità di prendere la vite da ghiaccio che avevo all'imbrago e fissarla nella parete liscia e dura del crepaccio. Quella vite ha fermato lo scivolamento mio e la probabile caduta nel crepaccio di Tamara. Da lì, senza entrare nei dettagli, ci siamo inventati il modo di uscire - conclude Moro -. Quasi due ore dopo.

Successivamente la discesa al campo base, già rassicurato via radio.