Venerdì 26 Aprile 2024

Sergio Martino "Stroncato dai critici ma Tarantino mi adora Edwige? La scoprii io"

Il guru del cinema di genere: ho vissuto fra mille peccati e nessuna virtù "Il mestiere l’ho imparato in famiglia. Ma non amavo le scene sexy. Volevo girare la storia di un ragazzo diventato trans: fu impossibile"

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di Giovanni Bogani

Lo strano vizio della signora Wardh, Il tuo vizio è una stanza chiusa e solo io ne ho la chiave, Giovannona Coscialunga disonorata con onore. Titoli di film, indimenticabili. Anche loro hanno fatto la storia del cinema degli anni ’70. E poi: Milano trema: la polizia vuole giustizia, La polizia accusa: il Servizio segreto uccide. Fino a Morte sospetta di una minorenne; 40 gradi all’ombra del lenzuolo e quel classico che unisce commedia e calcio che è L’allenatore nel pallone, con Lino Banfi-Oronzo Canà.

Cosa accomuna quei titoli? Il loro regista, Sergio Martino, oggi distinto signore di 84 anni. Una settantina di film, più una ventina di lavori per la tv. Cinema "di genere", che non piaceva ai critici, ma molto al pubblico.

Ma lei, Martino, con il cinema praticamente ci è cresciuto. Fin da piccolo, in casa respirava cinema. E sigarette…

"In un certo senso sì. Mio nonno Gennaro Righelli ha diretto il primo film sonoro italiano, La canzone dell’amore, nel 1930. Io sono nato nel ’38, ho fatto in tempo a vederlo lavorare ai suoi ultimi film. Si mettevano a scrivere in due-tre, fumavano decine di sigarette. Per me il cinema è iniziato col sapore del fumo. Forse in quelle riunioni c’era anche un giovane Mario Monicelli".

Lei è nato il 19 luglio 1938. Sei anni dopo Roma subiva il bombardamento di San Lorenzo.

"Infatti. Ricordo che fuggimmo nel rifugio, e che mio padre mi fece ugualmente spegnere la torta, fra i boati delle bombe".

Non sognava, come molti ragazzini, di fare l’attore?

"All’inizio sì. Ma ho capito presto che era più facile dire “motore!“ che imparare una lunga parte a memoria. E negli anni ’60, ho iniziato come sceneggiatore, poi come aiuto regista, e debuttai con un film inchiesta, in cui raccontavo la vita fuori dall’Italia, la Swingin’ London, i figli dei fiori. Il film si chiamava Mille peccati… nessuna virtù. Quello che poi mi hanno sempre contestato i critici".

Ha chiamato la sua autobiografia proprio così, ma con un punto interrogativo: Mille peccati… nessuna virtù?.

"Esatto. Qualche virtù magari l’ho avuta anch’io. Non ho avuto soddisfazione da parte della critica, ma ho sempre fatto guadagnare tutti quelli che avevano messo dei soldi nei miei film".

A cominciare da suo fratello, il produttore Luciano Martino. Come erano i vostri rapporti?

"Ci siamo sempre voluti molto bene. Lui era più grande, più estroverso, io più scontroso. Eravamo come Coppi e Bartali, quando si passano la borraccia, in quella fotografia famosa. Ci siamo spesso passati la borraccia. E lui mi paragonava a Bartali, che era sempre un bastian contrario, e amava dire “è tutto sbagliato, è tutto da rifare“. Anch’io ero un po’ così".

Lo strano vizio della signora Wardh è il primo film importante con Edwige Fenech. Praticamente la scoprì lei.

"La vidi in uno studio di doppiaggio, aveva accompagnato un suo amico americano. Capii subito che aveva potenziale. Il film era ispirato al caso Fenaroli, il giallo di una donna uccisa a Roma, alla fine degli anni ’50: il marito Giovanni Fenaroli, un imprenditore sulla via del fallimento, aveva organizzato l’omicidio per riscuotere l’assicurazione sulla vita della moglie".

Edwige Fenech fu anche Giovannona Coscialunga…

"Un successo clamoroso. La Fenech era sexy, ma anche ironica. Quel film, se ci si pensa, non fa che anticipare Pretty Woman: una prostituta che si trova ad accompagnare un industriale".

A dispetto dei titoli dei suoi film, non sono molte le scene erotiche esplicite.

"Io in realtà non amavo girarle, le ho sempre fatte di controvoglia. Ma i distributori dei film ci spingevano sempre a mettere qualche scena osée, e non potevamo opporci".

Oggi molti registi rivalutano il suo cinema. Alcuni dichiarano anche dei debiti verso di lei.

"Guillermo del Toro non nasconde di essersi ispirato per il suo film vincitore dell’Oscar, La forma dell’acqua, al mio film del 1979 L’isola degli uomini pesce. Ma ancora più clamoroso è il caso di Quentin Tarantino".

Tarantino la ha annoverata fra i suoi maestri, nella retrospettiva del 2004 alla Mostra del cinema di Venezia, dedicata al cinema di genere italiano.

"E lì ci siamo presi una piccola rivincita, quando Quentin ha fatto partire una standing ovation per noi, i registi disprezzati dalla critica. E alcuni di quei critici non poterono fare a meno di applaudire, quel giorno".

Ma chi erano quelli che ce l’avevano con lei?

"Non ha importanza. Ma uno scrisse che io non avevo “diretto“ ma “commesso“ dei film, come se fossero stati crimini. Almeno, era stato spiritoso".

C’è un regista, oggi, che sente simile, o vicino?

"Mi è piaciuto Gabriele Mainetti, con Lo chiamavano Jeeg Robot ha reinterpretato lo spirito del cinema di genere. Ma in generale non mi sembra un buon momento per il cinema. Io ho vissuto in un’epoca in cui si giravano 350 film l’anno, l’Italia era il secondo produttore di film d’Occidente, dopo gli Usa. Ora quel fervore non esiste più".

Ha rimpianti?

"Ho tolto tempo alla famiglia. E poi ho un dolore che porto sempre con me: la morte di Claudio Cassinelli, sul set di Mani di pietra. Eravamo in Arizona, fra i canyon. Quel giorno non dovevamo neppure girare. C’era da provare la scena in cui un elicottero passava sotto un ponte. Bastava il pilota, non era necessario che lui ci fosse. Ma insistette: “Voglio poter raccontare a mio figlio che suo padre è stato coraggioso“. Io dopo un po’ cedetti. Montò su quell’elicottero, che urtò un ponte e cadde. Non me lo sono mai perdonato".

Il film che non è riuscito a fare?

"Girasoli scuri. La storia di un giovane, figlio di un uomo conservatore, rigido, pieno di pregiudizi. Il ragazzo va a Parigi: quando torna, è una trans. Non mi hanno permesso di farlo. Oggi forse i tempi sarebbero maturi, ma io non ho più le energie".

Quali film salverebbe, nella storia del cinema?

"Ne salverei cinque. E tre sarebbero di Charlot".