Mercoledì 24 Aprile 2024

Salvini-Conte, torna l’amore (ma non durerà)

Le posizioni dei due leader sempre più vicine. Anche se la forza per far cadere Draghi non c’è e dovranno di nuovo dividersi

Matteo Salvini salutato dai suoi senatori dopo l'intervento in Aula

Matteo Salvini salutato dai suoi senatori dopo l'intervento in Aula

"C’eravamo poi lasciati, non ricordo come fu". A dispetto della stranota canzone, i motivi della rottura del matrimonio gialloverde Giuseppe Conte li ricorda perfettamente. E se gli facesse difetto la memoria nel riavvolgere il film brutalmente interrotto il 7 agosto 2019 da Salvini al Papeete di Milano Marittima, ci pensano le divisioni odierne sulle concessioni balneari o sul termo-valorizzatore nella Capitale. Ma da qualche tempo alle ragioni che imposero il divorzio se ne sovrappongono altre che spingono alla riconciliazione. Che si possa arrivare a un ritorno di fiamma tra Lega e M5s è molto in forse, ma il tema è all’ordine del giorno nei palazzi della politica dove, a partire dall’elezione del presidente della Repubblica, incombe lo spettro di un nuovo asse tra i due.

Ad unirli ora sono elementi concretissimi: la guerra, gli aiuti all’Ucraina, le armi. Conte ne ha fatto il suo campo d’azione, la partita nella quale si gioca la ridefinizione dell’identità del Movimento. Salvini arranca, sembra pensarla allo stesso modo, ma è meno battagliero, anche perché se i rapporti tra Conte e Draghi sono stati sempre pessimi, quelli tra il Capitano e Supermario sono buoni. Spinge meno, ma la posizione è simile. La conferma si è avuta ieri nel dibattito seguito all’informativa in Parlamento del premier, che pure ha cercato di volare basso nel sottolineare che si muove nel solco di una mozione approvata da tutti. "Quando qualcuno in quest’Aula rinnova l’invito a inviare altre armi, al massimo gli operai italiani tireranno la cinghia, io non ci sto", tuona Salvini. Replica a quanto detto prima da La Russa (Fd’I), ma il messaggio è chiaro. Come quello di Conte: "Sulle armi abbiamo già dato". Palazzo Chigi fa sapere che il premier non tornerà alle Camere per il Consiglio europeo straordinario di fine mese, ma se si arrivasse a un nuovo voto, M5s e Lega sarebbero dalla stessa parte. Enrico Letta sarebbe invece a braccetto con Giorgia Meloni, convinti che non esista distinzione tra difesa e offesa, e quel che serve all’Ucraina deve essere concesso.

La riconciliazione è davvero possibile? Bersani (LeU), vicino all’ex premier, assicura di no. "Sono fantasie dei media. Quella parte di 5S che doveva andare a destra c’è andata". Almeno fino alle elezioni ha ragione: se non ci sarà una svolta proporzionalista e se i mille motivi di distinguo non lo renderanno impossibile, 5stelle e Pd arriveranno insieme alle urne. Quanto al dopo voto, però, nessuno mette la mano sul fuoco su alcunché. Insomma, l’eventualità del riaccostamento è remota, ma non inesistente. A unire due leader "frondisti" sono anche le rispettive difficoltà: la strategia dei partiti "di lotta e di governo" abbracciata da Salvini ai tempi della crociata contro il Green pass, che Conte ha fatto propria traducendola in una battaglia a tutto campo, paga poco.

Gli elettori non capiscono bene le posizioni di chi critica anche aspramente, ma poi vota disciplinatamente. Capita così che in un paese in cui, stando ai sondaggi, la maggioranza dell’opinione pubblica è su una posizione affine a quella della Lega e dei 5stelle, gli stessi sondaggi assegnino ogni settimana nuovi successi ai partiti rigoristi, Fd’I e Pd, mentre gli indici di gradimento del premier restano altissimi. Indipendentemente dal merito, cioè, gli elettori premiano chi assume una posizione decisa e la difende con coerenza, e puniscono chi prova a tenere i piedi in due staffe.

Insomma, Conte e Salvini si trovano oggi di fronte allo stesso dilemma: se forzano la mano fino a provocare la crisi di governo, rischiano poi di trovarsi senza più alleati. Per il Pd sarebbe un passo senza ritorno ma, probabilmente, anche per Forza Italia sarebbe un po’ troppo. Senza contare le lacerazioni e forse le scissioni che entrambi i partiti dovrebbero subire. Ma se invece insistono nella strategia del doppio binario rischiano di finire puniti severamente nelle urne. Hanno lo stesso dilemma, ma in questo caso mal comune non è mezzo gaudio, a meno che col tempo e soprattutto superato lo scoglio di settembre, cioè dei vitalizi garantiti ai parlamentari, i due soci non decidano di farsi coraggio a vicenda e di tentare nell’ultimo scorcio di legislatura l’azzardo di una spallata che a quel punto sarebbe comunque ad altissimo rischio.