
Un coltello (foto di repertorio Germogli)
Milano, 21 gennaio 2015 - Tredici anni di reclusione per Gianpaolo Ferrari, 42enne reo confesso dell'omicidio di Matteo Musso. Il delitto avvenne nel 2006, ma Ferrari fu arrestato soltanto lo scorso aprile, dopo otto anni, grazie alla testimonianza resa dalla sua compagna. La condanna è stata emessa al termine di un rito abbreviato, quindi con lo sconto di un terzo della pena.
Ferrari uccise con una decina di coltellate Musso, ex dipendente comunale che faceva il custode in una rimessa in via Chiesarossa, perché quest'ultimo aveva raccontato a sua mamma che beveva e si drogava. Ferrari, peraltro, risponde non solo dell'omicidio di Matteo Musso, ma anche di maltrattamenti e lesioni aggravate ai danni della compagna che il 15 marzo scorso lo ha denunciato dopo essere scappata di casa con il figlio di 9 anni. Sul conto dell'omida c'erano inoltre numerosi precedenti per droga, rapina e maltrattamenti.
L'omicidio Musso risale alla notte tra il 3 e il 4 maggio 2006. In base a quanto ricostruito dal pubblico ministero Gianluca Prisco, dopo aver saputo dalla compagna che Musso aveva raccontato a sua madre della sua "smodata assunzione di sostanze stupefacenti e alcoliche", Ferrari ha preso un coltello da cucina con la lama lunga circa 15 centimetri ed è uscito di casa, dicendo: "Adesso lo ammazzo". Quindi ha raggiunto la casa di Musso in scooter e lo ha colpito ripetutamente in varie parti del corpo, uccidendolo.
Il corpo è stato trovato la mattina dopo nella rimessa di via Chiesarossa 191 in cui la vittima viveva da un gruppo di camionisti. L'omicidio è rimasto a lungo insoluto e nell'ottobre 2007 il caso era stato archiviato. Nel frattempo, nel 2010, Ferrari ha avuto una prima condanna a 8 mesi per le violenze inflitte alla convivente con cui era tornato a vivere tre anni dopo, nell'agosto 2013.
Quando poi lo scorso marzo quest'ultima è fuggita di casa con il figlio avuto dall'imputato nell'agosto 2004, perché lui la picchiava e in tre occasioni le ha puntato un coltello alla gola, ha raccontato di averlo sentito dire durante un litigio: "Ti faccio fare la fine di Matteo". La squadra mobile ha quindi chiesto la riapertura del caso e ha riavviato le indagini e il 4 aprile, nel corso di un interrogatorio davanti al pm, Ferrari ha confessato.
Il pm aveva chiesto per l'imputato 14 anni di reclusione per omicidio volontario, maltrattamenti e lesioni, perché ha sottoposto la compagna a reiterate vessazioni fisiche, psicologiche e morali, avendola picchiata di continuo per futili motivi dal febbraio al marzo 2014, cagionandole tra l'altro un trauma distorsivo rachide cervicale giudicato guaribile in 7 giorni. Nella richiesta di rinvio a giudizio aveva contestato a Ferrari anche l'aggravante della premeditazione per l'imputazione di omicidio, ma in sede di discussione l'ha esclusa, ritenendo invece che abbia commesso un delitto d'impeto. Oggi il giudice per l'udienza preliminare Vincenzo Tutinelli ha comminato all'imputato 13 anni di carcere, mantenendo la linea dell'accusa. Il risarcimento per la compagna, costituitasi parte civile, sarà quantificato in sede civile.