Mercoledì 24 Aprile 2024

L’ong che assiste i profughi "Bombe vicino all’ospedale Costretti a fuggire da Kharkiv"

Filippo Mancini, responsabile di WeWorld in Ucraina: dopo gli ultimi attacchi si vive nel limbo "Qualcuno è riuscito a rientrare in casa, ma in inverno anche solo una finestra rotta è un problema"

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di Giorgio Caccamo

Per mettersi in contatto con Filippo Mancini in Ucraina, bisogna fare tre tentativi al telefono. Le comunicazioni nel Paese non sono delle migliori, con WhatsApp va comunque meglio che con il telefono. Mancini, senese, è il responsabile per l’ong italiana WeWorld in Ucraina. L’organizzazione è nel Paese da aprile (nelle aree di Kiev, Leopoli e Odessa), lui da agosto. Mancini risponde da Poltava, città dell’Ucraina centrale. È qui perché ha dovuto lasciare Kharkiv – dove WeWorld sta avviando nuove attività – in direzione Kiev, dopo i bombardamenti sulla città dell’est riconquistata dagli ucraini.

Mancini, com’è la situazione nelle aree in cui state operando?

"Ero in un ospedale pediatrico a Kharkiv, stavo parlando con un medico per i nostri prossimi progetti. Ho sentito forte i bombardamenti, almeno quattro. Per questo abbiamo dovuto lasciare la città".

Kharkiv è stata da poco riconquistata dopo la controffensiva ucraina. La gente è tornata o è andata via?

"Sono tornate centinaia di migliaia di persone. Ma alcuni, soprattutto i più anziani, non se ne sono mai voluti andare. Per esempio cinquanta persone sfollate nella metropolitana di Kharkiv da sette mesi, praticamente dall’inizio della guerra. O ancora gli anziani che vivono in aree rurali al confine con la Russia e non vogliono abbandonare le loro case, anche se sono sulla linea del fronte".

Quante persone assistete?

"Nelle zone in cui ci troviamo, a ovest e nell’area di Kharkiv dove stiamo iniziando a lavorare, diamo aiuto a 6-7mila persone, centinaia di famiglie di sfollati".

L’escalation russa provocherà una nuova fuga dall’Ucraina verso l’Europa?

"È ancora difficile dirlo, bisognerà aspettare qualche giorno. Però, certo, l’attacco a obiettivi civili, dagli ospedali alle scuole, alza il livello di preoccupazione".

Quali sono i vostri progetti attualmente?

"Da aprile forniamo servizi nei centri d’accoglienza di Leopoli: generi alimentari e non, farmaci. Così come diamo assistenza agli sfollati che arrivano dal Donbass, sostanzialmente occupato dai russi dal 2014. Abbiamo organizzato anche punti di sostegno psicologico e attività ludiche ed educative per bambine e bambini. Proviamo a rendere vivibili posti come ex fabbriche o capannoni adibiti all’accoglienza. A Irpin, grosso sobborgo di Kiev, aiutiamo 700 famiglie fornendo kit di emergenza per i prossimi due mesi, tra coperte e riscaldamento".

Ecco, i prossimi due mesi, cioè un inverno che si annuncia difficile...

"Al momento non sappiamo se e quanta gente deciderà di lasciare l’Ucraina, di sicuro l’inverno sarà una prova difficile. Il governo assicura che non ci saranno problemi con l’approvvigionamento di gas, ma c’è già molta preoccupazione per chi, ad esempio, è sì riuscito a tornare a casa sua, ma magari ha una finestra rotta. Sembra poco, ma non poter ripristinare completamente la propria abitazione colpita è un grande problema".

Come si sta affrontando il possibile ulteriore esodo di sfollati e profughi?

"Le ferrovie statali hanno già predisposto piani di contingenza per l’evacuazione durante l’inverno, sull’asse est-ovest".

L’obiettivo di chi lascia la propria casa è ritornarvi prima o poi, o raggiungere l’Europa?

"Molti purtroppo si trovano in un grande limbo. I rifugiati interni che arrivano dal Donbass probabilmente saranno costretti a restare a Leopoli per mesi. La speranza è sempre di tornare a casa, ma sarà possibile solo se quelle regioni saranno definitivamente liberate. Fino ad allora, il dovere di tutti è assistere chi è dovuto scappare".