Mercoledì 24 Aprile 2024

L’italiano, una lingua viva protesa al futuro

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Roberto

Pazzi

Forse gli italiani non si rendono conto di parlare una delle lingue più vive e musicali della terra. Protesi a infarcire il lessico famigliare di barbarismi e prestiti da lingue imperiali come l’inglese, trascurano la vitalità di un mezzo che, come ha ricordato Sergio Mattarella, corre verso il futuro, capace di accettare tutte le sue sfide. Basterebbe il vocalismo pieno e rotondo dell’italiano a dare la misura di un’eufonia che incanta. Nelle nostre parole abbondano le vocali quanto in altre nordiche e dell’est europeo prevalgono le dure consonanti. Nel dialetto ligure di mia madre conosco una parola di sole vocali: oliva, oia.

Non sarà un caso che la lingua del melodramma sia rimasta l’italiano e che dovunque si canti l’Opera nel mondo si parli l’italiano. La Storia ha consegnato la voluttuosa bellezza dell’italiano a una frase di Carlo V: "Parlo spagnolo con Dio, italiano con le donne, francese con gli uomini, tedesco col mio cavallo". Da dove viene la nostra ricchezza? Dai greci e dai romani, la cui eredità corre nel nostro sangue, arricchita dalle invasioni che hanno temprato la lingua di Eraclito e di Cesare. Una lingua del pensiero, con Eraclito, "èthos anthròpoi dàimon, il carattere è il destino di un uomo" per ammonirci della nostra incapacità di cambiare. Una lingua di azione, con Cesare, "veni, vidi, vici: venni, vidi, vinsi", le tre parole inviate al Senato per comunicare la vittoria contro Farnace, re del Ponto.