Mercoledì 24 Aprile 2024

La resistenza degli studenti ucraini: "Addio Erasmus, ora si combatte"

Leopoli, gli universitari in prima linea: "Siamo diventati un plotone, la guerra ha stravolto i nostri piani"

Un soldato ucraino saluta il figlio al riparo con la mamma nella metropolitana di Kiev

Un soldato ucraino saluta il figlio al riparo con la mamma nella metropolitana di Kiev

Leopoli (Ucraina), 3 marzo 2022 - La sveglia a Leopoli ha il suono acuto e modulato della sirena antiaereo. Quella delle 10 è la prima delle tre che ormai scandiscono la giornata. La gente che scende nei rifugi sembra più infastidita che preoccupata, è già iniziato il processo di normalizzazione dell’emergenza. L’area giochi per i bambini resta deserta anche al termine dell’allarme, neppure i piccoli hanno voglia di salire sull’altalena ghiacciata con questa atmosfera. Lì davanti c’è l’università, la seconda più grande dell’Ucraina. La tettoia del dormitorio ha un merletto di stalattiti di ghiaccio che si sciolgono. "In genere annunciano l’arrivo della primavera. Certo, non la primavera italiana", racconta Irina, una ventenne che studia Relazioni internazionali e che per il suo Erasmus ha scelto Foggia. Sognava di fare l’ambasciatrice, per ora gestisce assieme ad altri compagni un centro di smistamento di beni di prima necessità per chi non ha più nulla. "Proprio oggi ho ricevuto l’approvazione della documentazione per la specialistica a Bergamo. Ma non potrò andare. La guerra cambia sempre i piani". 

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Ci accoglie in uno stanzone che fino a una settimana fa era il refettorio degli studenti e che adesso è un deposito di scatoloni. "L’unica nota positiva è che non ci sono più liti tra gli studenti, questa situazione ci ha unito. Siamo un piccolo plotone". Usa una parola militare non a caso, la sceglie con cura dopo aver fatto una pausa per ricordarla in italiano. Non ha propriamente il fisico del guerriero e neppure i suoi colleghi, eppure la stanza è piena di coraggio. "Il nostro modo di combattere ora è aiutare chi è al fronte – racconta Sasha, che ha gli occhiali spessi e le guance pallide –. Non posso sparare per un problema fisico ma non significa che non voglia. Non posso entrare nell’esercito perché sono uno studente ma non significa che non voglia farlo. Ho paura di morire ma non significa che non sia disposto a resistere fino alla fine". Sasha, per intenderci, ha appena compiuto 20 anni.

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"I russi non seguono le regole d’ingaggio, sono spaventosi. Le nostre famiglie vivono in altre regioni dove lo scontro è più violento e ci raccontano cose terribili che la televisione non ha il coraggio di mostrare". Gli chiediamo se i genitori siano al sicuro ma arriva un gruppo di ragazzi con altri scatoloni da scaricare. Lui corre ad aiutarli, alla domanda risponde Irina. "Non chiedere questa cosa, è molto doloroso. Nella regione del Sumy i soldati russi tirano fuori dai rifugi gli ucraini per usarli come scudi umani".

Non abbiamo modo di verificare questa informazione e in questa guerra si sparano tanti missili quante fake news ma il dolore e la determinazione di questi ragazzi è reale, fisicamente tangibile. "Ci sono molti modi per fare la guerra – continua Irina –. Ci vuole poca forza per portare un Kalashnikov, molta più forza e intelligenza per bucare un sistema di sicurezza di alto livello. E qui ci sono studenti di Informatica che sono in grado di farlo mentre mangiano una merendina. Abbiamo chat segrete su Telegram e una rete di bot che alimenta la corretta informazione senza nascondere le difficoltà. I russi no, i russi costruiscono muri di bugie ma noi li butteremo giù. In qualunque modo. Qualunque".

A qualche chilometro di distanza dal dormitorio, nel centro di Leopoli, c’è il più grande centro di raccolta e distribuzione di aiuti umanitari. È un continuo viavai e sotto la bandiera giallo-azzurro che sventola dal palazzo di fronte sono in tanti a urlare ’Slava Ukraini!’, gloria all’Ucraina. Agli angoli delle strade ci sono tre tipi di code: davanti ai bancomat, alle farmacie e alle armerie. Comprare un’arma è diventato così semplice che non ce ne sono per tutti. La fila si allunga, a volte fa il giro dell’isolato. Questa è la W generation, la war generation ucraina.