In carcere l’atleta ribelle Costretta a tornare in Iran per salvare suo fratello

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Riportata in Iran col ricatto, arrestata e rinchiusa nel carcere di Evin, il famigerato carcere dei prigionieri politici. Secondo il portale dei dissidenti IranWire, è così che il regime teocratico di Teheran ha deciso di punire Elnaz Rekabi, la campionessa di arrampicata che ha gareggiato senza il velo islamico ai Campionati asiatici in Corea del Sud. Dell’atleta si erano perse le tracce proprio mentre le immagini dei suoi capelli sull’uniforme della nazionale facevano il giro del mondo. Il giallo viene alimentato da un messaggio apparso ieri su Instagram. Un post con cui l’atleta ribelle si è scusata per "aver fatto preoccupare tutti", e ha spiegato che l’hijab, il velo, le sarebbe caduto "inavvertitamente" poco prima di gareggiare. Inoltre, la giovane ha annunciato che stava tornando nella capitale del suo Paese, come da programma, con le compagne di squadra. Prima che fosse pubblicato il post, tuttavia, IranWire aveva citato fonti anonime secondo cui, dopo la gara, la sportiva sarebbe stata ingannata dal capo della Federazione di arrampicata iraniana che l’avrebbe condotta nell’ambasciata di Teheran a Seul, su istruzioni del presidente del Comitato olimpico iraniano Mohammad Khosravivafa. Che a sua volta avrebbe ricevuto l’ordine dalle Guardie della Rivoluzione. Al contrario di ciò che è stato postato in seguito su Instagram, l’atleta avrebbe scelto consapevolmente di gareggiare senza il velo. "Dalle notizie che ho – conferma Davide Battistella, presidente Fasi, la Federazione arrampicata sportiva italiana –, le autorità iraniane avrebbero preso in ostaggio il fratello e quindi Elnaz è stata costretta a rientrare nel suo Paese. Immagino che dopo quanto fatto non sarebbe mai rientrata di sua spontanea volontà".

"Le donne non dovrebbero mai essere perseguite per ciò che indossano e non dovrebbero mai essere sottoposte a violazioni come la detenzione arbitraria o altre violenze per come sono vestite", ha affermato a proposito di Rekabi la portavoce dell’Ufficio dell’Alto commissariato Onu per i diritti umani, Ravina Shamdasani, aggiungendo che le Nazioni Unite seguiranno la vicenda "molto da vicino". L’immagine dell’atleta iraniana senza l’hijab – obbligatorio in pubblico nella Repubblica islamica che rappresentava all’evento sportivo coreano – ha fatto il giro del mondo ed è stata interpretata come un sostegno alle proteste in corso da oltre un mese in Iran per Mahsa Amini, la 22enne curda morta dopo essere stata arrestata dalla polizia morale perché non indossava il velo in modo corretto. Secondo l’agenzia degli attivisti per i diritti umani iraniani Hrana, da quando le dimostrazioni sono iniziate, almeno 240 persone sono rimaste uccise, tra cui 32 minori. Secondo la Ong, gli arresti sono oltre 8.000, tra loro anche 9 stranieri, come l’italiana Alessia Piperno, che si trovava nel Paese mentre sono esplose le proteste. La ragazza, peraltro, è rinchiusa proprio nel carcere di Evin.

red.est.