Hanno continuato a fornirgli ossigeno, acqua e cibo. Ogni piccolo movimento registrato dalle telecamere ha fatto sussultare quanti – si stima milioni – da mercoledì, giorno in cui si è diffusa la notizia dell’incidente, seguono le immagini trasmesse in dirette non stop, via tv e via internet dal paesino rurale di Bab Berred, vicino a Chefchauen, nel nord del Marocco. Ryan è vivo (qui gli aggiornamenti in tempo reale), ha mangiato una banana, muove gambe e braccia e risponde alle domande, chiamando la mamma. Ma l’atteso sospiro di sollievo tarda ad arrivare mentre le immagini dei soccorsi riportano alla memoria la vicenda di Alfredino Rampi e di quelle interminabili ore a Vermicino, nel giugno del 1981. Le squadre che ormai da quattro giorni lavorano ininterrottamente, ieri sera erano a un soffio dal bambino, dopo aver scavato un tunnel alternativo per raggiungerlo. Ma ogni mossa e ogni passo avanti è pericoloso: si rischiano crolli e cadute di materiali che possano compromettere la situazione e le operazioni procedono con estrema lentezza, costrette a subire battute d’arresto a ogni rischio di smottamenti a ridosso degli scavi. Martedì scorso, di pomeriggio, Ryan stava giocando nei campi vicino casa. Il papà lo teneva d’occhio. Ma ai bimbi basta un attimo per sparire, spinti dalla curiosità o dalla vivacità. E così il piccolo è saltato sopra quel cumulo di legna e plastica come se fosse una piccola vetta da scalare. Invece, erano state messe lì, un po’ alla bell’e meglio proprio dall’uomo, di mestiere contadino, per coprire un pozzo che da poco aveva scavato proprio egli stesso. Ryan è sprofondato alla velocità di un proiettile, compiendo un volo di 32 metri in caduta libera attutita solo dalle pareti strette venti centimetri. A differenza di quanto accade ad Alfredino, per il quale le ricerche scattarono solo in ...
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