Doveva essere il giorno del primo storico sì al premierato, ma la festa è rovinata dal capitombolo della maggioranza sulla partita parallela: quella dell’Autonomia differenziata. La commissione Affari costituzionali del Senato approva con i voti del centrodestra, del gruppo delle Autonomie e l’astensione di Italia viva la riforma cara a Giorgia Meloni. "Presto gli italiani potranno scegliere direttamente il loro presidente del Consiglio mettendo la parola fine a inciuci, giochi di palazzo e governi tecnici", esulta la ministra delle Riforme, Elisabetta Casellati. Alla Camera, invece, il provvedimento simbolo di Salvini inciampa sulle assenze.
Un emendamento del M5s, che cancella dai principi base della legge Calderoli la parola ’autonomia’ – e scusate se è poco – passa con 10 sì e 7 no perché in commissione Affari costituzionali mancano quattro leghisti su cinque. Stavano chiacchierando in corridoio. L’opposizione esulta: "Il testo è cambiato, ora deve tornare al Senato". Ma il presidente Nazario Pagano (Forza Italia) non si scompone, da un’occhiata all’aula, vede Alessandro Urzì (FdI) con il braccio alzato, gli dà la parola: "Avevo chiesto di intervenire, non volevo votare", dice il deputato tricolore. Prende la palla al balzo il forzista che evita di proclamare il risultato, in modo da non rendere ufficiale l’esito del voto e – dopo essersi informato sui precedenti – sentenzia: si rivota subito.
L’opposizione insorge: non si vota due volte su uno stesso atto è uno dei cardini del diritto parlamentare. "Non accetteremo la dittatura della maggioranza" tuona la capogruppo del Pd, Chiara Braga. I democratici con M5s e Avs minacciano l’Aventino, chiedono l’intervento del presidente della Camera e della giunta per il Regolamento nonché la testa di Pagano. "Non dà più garanzie di imparzialità". Il forzista sospende la seduta: "L’esame del disegno di legge riprenderà domani dal voto sull’emendamento M5s". Replica Simona Bonafè (Pd): "Speriamo ci ripensi".
Certo è che la sciatteria dei leghisti provoca un incidente che non si chiuderà facilmente. "Non capiterà più, in futuro staranno più attenti", taglia corto Salvini che veste i panni del pompiere anche per quanto riguarda il governo: "Il voto per le Europee? È un voto di vita o di morte per il futuro del nostro Paese, ma non cambierà nulla nelle dinamiche interne. Non ci sarà nessun rimpasto". Resta però negli annali la lavata di capo inflitta da un furibondo Roberto Calderoli, ministro degli Affari regionali, ai commissari del Carroccio. Sì, perché il cammino dell’Autonomia (l’inizio dell’esame in aula è fissato per lunedì prossimo) rischia di rallentare ulteriormente. Per il via libera prima delle Europee la Camera deve licenziare il provvedimento entro maggio. Un’impresa non facile.
Anche perché il resto della maggioranza non ha fretta. Per FdI e FI approvare l’Autonomia prima del 9 giugno significa rischiare di perdere una valanga di voti nel Meridione. Ovvio: per rallentare la riforma bisogna rinunciare all’approvazione in prima lettura del premierato. FdI appare dispostissima al sacrificio: martedì la conferenza dei capigruppo di Palazzo madama dovrebbe fissare l’approdo in aula del premierato. Ma il presidente della commissione Affari costituzionali e fedelissimo della premier, Alberto Balboni, è rilassato: "Come ha detto il presidente La Russa bisogna lavorare senza ingiustificati ritardi ma anche senza fretta". Non c’è fretta per il premierato ma soprattutto non c’è premura di sorta per l’Autonomia differenziata.