di Antonella Coppari La guerra dei 5stelle si avvicina probabilmente all’epilogo e inevitabilmente le scosse telluriche coinvolgono anche il governo. Perché è proprio sulla risoluzione di maggioranza – in votazione oggi al Senato e domani alla Camera – che divampa la battaglia tra Luigi Di Maio e Giuseppe Conte, anzi come dice Roberto Fico, tra Di Maio e tutto il Movimento. "Siamo arrabbiati e delusi – dichiara il presidente della Camera – Non riesco a comprendere che il ministro degli Esteri attacchi e mistifichi su posizioni rispetto alla Nato e all’Europa che dentro M5s non ci sono". È un’esternazione durissima, che isola il titolare della Farnesina e rende il divorzio quasi inevitabile, benchè il consiglio nazionale si limiti a "censurarlo". Già: gli ortodossi schiumano indignazione, sostengono che la mozione separata per chiedere di non inviare più armi era un’ipotesi già superata quando Di Maio domenica l’ha clamorosamente denunciata come tentativo di allontanare l’Italia dall’atlantismo. In quelle ore, M5s e Leu erano già impegnati in una trattativa serrata con il sottosegretario Amendola, su tutt’altro tavolo. La richiesta rivolta al governo, spiegano, era presentarsi di fronte al Parlamento prima di ogni scelta importante, a partire dai vertici internazionali. Il modello indicato da Conte era quello dei suoi dpcm all’epoca del Covid. In un primo momento, Amendola era sembrato possibilista, poi ogni spiraglio si è chiuso: "Vorrebbe dire un commissariamento del governo da parte delle Camere". A sollevare l’obiezione è stato Draghi in persona: la controproposta di Palazzo Chigi prevedeva invece una semplice informativa dopo e non prima aver assunto decisioni urgenti e nevralgiche. A impuntarsi stavolta sono i cinquestelle e lo scontro interno ha il suo peso. Conte sarebbe stato più malleabile senza l’affondo Di Maio. Dopo quell’intemerata invece non può permettere al ministro degli Esteri di cantare vittoria e di affermare che solo ...
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