Mercoledì 24 Aprile 2024

Il lockdown che continua dentro di noi

Durante i giorni più bui del lockdown ci siamo ripetuti tante volte, anche per farci coraggio, che dopo le grandi crisi segue sempre la fase della ricostruzione. Abbiamo ricordato la grande reazione popolare, il gran darsi da fare del nostro dopoguerra; e abbiamo, insomma, previsto che la difficoltà ci avrebbe resi più forti, più reattivi. In buona parte, questa reazione c’è già stata. Penso ai tanti imprenditori, soprattutto ai piccoli, che hanno avuto la forza di reinventarsi. Penso soprattutto al commovente impegno di tutti gli operatori della sanità. Ma per altri versi, mi chiedo se questi giorni bui non ci abbiano anche - sempre in buona parte - fiaccati, sfiduciati.

Si chiamava “Sdraiati“ un libro scritto sette anni fa da Michele Serra e dedicato ai nostri ragazzi così a lungo stesi sul divano: e al silenzio, all’assenza di noi genitori. Ecco, penso ai ragazzi che con il lockdown hanno visto interrompersi un ritmo, una routine se volete, che era però la loro vita quotidiana. Si parla tanto della scuola d’obbligo e dei danni subìti dai bambini nel non andare a scuola; ma non si parla abbastanza degli universitari. All’università non si va tutti i giorni, ma le lezioni, i colloqui con i professori, gli scambi degli appunti, i giri nelle librerie degli atenei, ecco, tutto questo è venuto a mancare, tutto questo è stato sostituito da gelide lezioni online, perfino le lauree hanno perso la loro sacralità e la loro giocosità. E sono venuti a mancare, anzi a sparire, pure gli stage, con i quali i neolaureati entravano in contatto con il mondo del lavoro. Tanti, tantissimi ragazzi stanno così ancor di più sul divano; in tanti, ancora oggi, hanno vissuto e vivono tutto questo come il crollo di un ponte che li conduceva nel futuro.

Anche lo smart working, utilissimo per certi versi, ha avuto ricadute preoccupanti. Non è che chi lavora da casa lavori di meno: anzi, spesso lavora di più, perché viene richiamato a qualsiasi ora in servizio, e perché anche la casa ha le sue incombenze che si impongono. Sono certo, ad esempio, che per una mamma che ha figli in età scolastica sia molto meno pesante andare in ufficio che lavorare da casa mentre i bambini fanno didattica a distanza. Ma con lo smart working è venuto meno il contatto con i colleghi, il guardarsi e il toccarsi, è venuta meno l’empatia, è venuta meno l’aria. L’aria, santocielo.

E così a lungo ci si deprime, ci si debilita, si ha perfino la tentazione di usare il Covid come alibi: tanto è tutto fermo, che cosa potrei fare io? Il lockdown è stata una prigione inevitabile e forse provvidenziale: ma in molti di noi ha prodotto il gusto inerte a stare chiusi dentro. "Vestiti, usciamo", diceva una vecchia canzone.