Mercoledì 24 Aprile 2024

"Ho guardato il Cinema Paradiso E ora racconto la mia vita da cieco"

Fu il bimbo protagonista del film che vinse l’Oscar nel 1990, una malattia lo sta privando della vista "Parlare della mia condizione mi intimoriva. Poi Bocelli mi ha detto: non è una colpa, perché vergognarsi?"

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di Giovanni

Bogani

Quegli occhi. Neri, bellissimi. Pieni di vita. Gli occhi di Totò Cascio, il bambino di Nuovo cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore, il film che aveva riportato l’Italia all’Oscar, nel 1990. Quando girò quel film, Totò aveva 8 anni. Quegli occhi spalancati davanti al proiezionista Philippe Noiret, diventati così fragili. Totò, da quando aveva 12 anni ha iniziato a convivere con il buio. Ha cominciato a vederci sempre meno e adesso distingue solo le luci. Non vede le sagome, le forme, i volti. La retina in lui si è progressivamente atrofizzata.

Oggi Totò ha perso quasi completamente la vista.

Ma ora ha deciso di raccontare la parte più difficile della sua vita, perché?

"Prima mi vergognavo, avevo paura a parlare della mia condizione. Mi chiamavano i giornalisti e io sfuggivo, con mille scuse. Adesso ho ritrovato la serenità, ho fatto pace con il bambino di Nuovo cinema Paradiso. Prima mi sembrava lontanissimo: ora mi sento di nuovo io, e non ho paura di parlare di quello che mi è successo".

Ha scritto un libro sulla sua storia. E l’ha raccontata nel cortometraggio A occhi aperti, realizzato da Mauro Mancini per la Fondazione Telethon. Il corto, prodotto da Rai Cinema, andrà in onda su Raiuno e sarà su Raiplay dal 12 dicembre. Totò, da grande, è tornato nella piazza in cui stato girato Nuovo cinema Paradiso, lì dove proiettavano i film sulle facciate delle case. Come si sente adesso?

"Decisamente meglio. Prima ero come in un labirinto da cui era difficile uscire. Ma la ricerca sta compiendo enormi passi avanti".

Alberto Auricchio, dell’istituto Telethon di genetica e medicina di Pozzuoli, sta lavorando a una rivoluzionaria terapia: una specie di tagliaincolla genetico che disattiva nella retina i geni difettosi e li sostituisce con altri sani.

"Finalmente una speranza concreta".

Ma non deve essere stato semplice affrontare questi anni.

"No. Per anni ho sofferto, mi ha fatto soffrire vedere piangere i miei genitori. Ho cercato invano la soluzione, l’uscita. Ma poi ho capito che l’uscita si trova soltanto quando smetti di vergognarti. Ho ritrovato la serenità, e oggi sono uscito dal labirinto".

Chi è stato importante, in questo percorso?

"Mi sono sempre aggrappato a Dio, perché ho fede, e questo mi ha aiutato molto. Ma ci sono state anche delle persone fondamentali. Ho parlato con Andrea Bocelli, che mi ha detto delle parole molto semplici: “Essere ciechi non è una colpa, non è un disonore, perché dobbiamo vergognarci?“. Io ho smesso di sentire la mia condizione come una colpa, come qualcosa di cui dovevo vergognarmi".

Che cosa le è mancato in questi anni?

"Il cinema, naturalmente. Ho detto di no a tante proposte, inventandomi delle scuse. E ogni volta era un dolore. Ho fatto un ultimo film con Bud Spencer, ma non riuscivo a guardare la telecamera, la luce mi abbagliava e al tempo stesso non vedevo".

E Tornatore che la lanciò nel cinema?

"Mi ha telefonato e quella telefonata è stata il ritrovarsi di due vecchi amici: molto bella, emozionante. Ora mi farà anche il regalo della prefazione al mio libro".

Il rapporto con le ragazze deve essere stato delicato.

"Sì, anche per via di aspetti prosaici: l’auto non la posso guidare. Mi è accaduto di conoscere una ragazza, e di presentarmi da lei sempre insieme a un amico, perché lui poteva guidare: “ma perché Totò devi sempre portare anche il tuo amico?“ mi chiedeva, giustamente. Mi manca guardare il viso dei miei nipotini, così come non ho potuto vedere gli ultimi gol di Francesco Totti".

Anche altre persone dello spettacolo sono state importanti per lei?

"Sì: ho conosciuto Filippo Timi, che è ipovedente in modo molto grave, e che tuttavia ha una splendida attività teatrale e cinematografica. Eppure, non vede chi ha accanto. Mi ha detto: “Io vedo con gli occhi della mente“. Andrea Bocelli l’ho incontrato grazie alla generosità di Leonardo Pieraccioni. Aveva fatto un bellissimo post su Nuovo cinema Paradiso su Facebook. Gli scrissi un messaggio per ringraziarlo. Dopo pochi minuti Leonardo mi chiamava. È lui che mi ha messo in contatto con Bocelli".

In questi giorni lei si trova a Bologna. Perché?

"È una città che amo, dove vorrei vivere. Gli autobus hanno a bordo messaggi con sintesi vocale, i semafori hanno segnalazioni acustiche per l’attraversamento: è una città che accoglie e facilita la vita alle persone con disabilità visiva. C’è l’istituto per i ciechi Francesco Cavazza, uno dei migliori in Europa. È una città in cui mi sento a casa".

A Palazzo Adriano, il suo paese, ha ancora i genitori?

"Sì: sono loro la mia forza. Loro e i miei fratelli".

Quando è da solo, come vive?

"Cerco di essere autonomo. Mi faccio la lavatrice, cerco di sbrigarmela a cucinare. Quando esco, devo uscire accompagnato. Ma non mi piango addosso. Al Cavazza tanti ipovedenti e non vedenti fanno riabilitazione, imparano a orientarsi e muoversi . Ragazzi meno fortunati di me. Io ho avuto la manna dal cielo, ho fatto uno dei più bei film italiani degli ultimi 40 anni, e che faccio, mi vergogno?".

Non si vergogna più, adesso.

"No. Il Totò bambino ha fatto pace con il Totò adulto: ho capito che non ce n’è uno migliore dell’altro, sono la stessa persona. Ho ritrovato la spontaneità, l’entusiasmo che avevo perso".

E adesso, che cosa sogna, che cosa desidera per la sua vita?

"Una famiglia. E poi voglio continuare a emozionarmi, girare presentando il mio libro, raccontare la mia storia. Ora voglio rinascere, e non ho più paura".