Giovedì 25 Aprile 2024

"Gentile Stato, aiutami a morire" Fabio chiede l’eutanasia con gli occhi

Pesaro, da 18 anni su un letto comunica solo con un puntatore oculare. La famiglia: è una sua scelta

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di Alessandro

Mazzanti

(Pesaro Urbino)

Gli unici muscoli che muove sono quelli delle palpebre, per scrivere, e quelli della bocca, per sorridere. Fabio Ridolfi, 46 anni, è tra i pochi guerrieri che combatte non per vivere ma per morire. Scrive con gli occhi, e le lettere appaiono su un piccolo schermo grazie a un puntatore oculare, montato sul letto della camera della villetta di Fermignano con le pareti piene delle maglie della Roma, di cui è tifoso, e delle dediche di Totti. È immobile così da 18 anni, intorno al letto ci sono inutili sbarre. "Ma lui le vuole – dice il fratello Andrea – perché ha il terrore del vuoto". Fabio Ridolfi suonava in una band e giocava a calcio. Ieri ha scritto "Gentile Stato italiano, aiutami a morire". "Questa non è vita","non voglio più soffrire così", il messaggio sottinteso, inviato tante volte, in questi anni, a chi voleva ascoltarlo.

Il suo è un altro caso di richiesta di eutanasia nelle Marche. Il terzo, negli ultimi anni, dopo quelli di Mario e Antonio. Fabio abita a Fermignano, a una decina di chilometri da Urbino. Il 29 febbraio del 2004, è una domenica, gli mancano pochi giorni a compiere 28 anni. È a cena con i suoi genitori, un’arteria del suo cervello si rompe e inizia il calvario: 18 anni di tetraparesi, immobilizzato. Ma il cervello di Fabio funziona eccome, Fabio ascolta, e soprattutto soffre. "Fabio è sensibile in tutto il corpo, anche se non può muoversi", dice il fratello Andrea. Pochissimi giorni dopo il malore, i medici spiegano alla famiglia che Fabio non è operabile. Anche lui lo scopre presto. Da lì matura il suo desiderio. Inizia a raccontare al mondo la sua voglia di morire. Prima si rivolge alle tv, poi all’associazione Luca Coscioni. E tramite il legale dell’associazione, Filomena Gallo, inoltra una richiesta all’Asur Marche per poter accedere al suicidio assistito, come previsto dalla sentenza della Corte costituzionale numero 24219 sul caso Cappato-Dj Fabo. Entra in contatto con Mina Welby.

Nel frattempo il suo medico storico, Giorgio Cancellieri, ex sindaco della cittadina, chiede la verifica delle condizioni di Fabio, nell’ottica del suicidio assistito: nello scorso febbraio, per 4 giorni, l’equipe medica – anestesisti, psichiatri, psicologi, medici del dolore – lo visita, stila una relazione sulle condizioni del 46enne e la invia al Comitato etico dell’Asur. Ma a oggi non c’è risposta. "Abbiamo verbalizzato gli incontri", dice Cancellieri, "stiamo aspettando le decisioni dell’Asur".

Esattamente come Fabio, e i suoi: il fratello che lavora in un azienda vicina a casa, la madre Cecilia, il padre Rodolfo. Tutti e tre da 18 anni, e da soli, perché Fabio vuole solo loro, lo accudiscono nella villetta della frazione di San Silvestro. E seguono solo quello che vuole Fabio: "Mio figlio è molto stanco – ha detto ieri la madre – e noi dobbiamo rispettare la sua volontà, è lui che soffre".

Idem il fratello Andrea, di un anno più grande: "Quella di Fabio non è vita. Noi non lo abbiamo mai indotto a fare nulla. È sempre lui che ha deciso, fin da quando seppe che non era operabile. A volte chi si schiera contro l’eutanasia lo fa sulla pelle degli altri. L’unica cosa che è rimasta di poter fare a mio fratello è quella di prendere decisioni. È giusto che lo faccia".