Mercoledì 24 Aprile 2024

Il rigore e l'onestà intellettuale. Franco Cangini, direttore galantuomo

L’editorialista si è spento a 83 anni. Il cordoglio del mondo politico

Franco Cangini in una foto d'archivio

Franco Cangini in una foto d'archivio

Roma, 9 ottobre 2017 - È morto l’altra notte a 83 anni il giornalista Franco Cangini, direttore del “Resto del Carlino”, condirettore del “Giornale” con Indro Montanelli e direttore del “Tempo”. Il figlio Andrea è l’attuale direttore di “Qn - Quotidiano Nazionale” e del “Resto del Carlino”. Nato nel 1934 a Pescara, originario di Volterra (Pisa), aveva intrapreso la professione nei primi anni ’60. Grande il cordoglio del mondo della politica: lo hanno ricordato con commozione tra gli altri il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi, il ministro dell’ambiente Gian Luca Galletti, il Presidente della Commissione d’inchiesta sulle banche Pier Ferdinando Casini, Walter Verini (Pd), Maurizio Lupi (Alternativa popolare). Ancora: il leader di Idea Gaetano Quagliariello («con lui scompare un liberale autentico, giornalista elegante, audace e mai omologato: in tempo di conformismo dilagante, un esempio per le giovani generazioni»); il presidente della Regione Emilia Romagna Stefano Bonaccini («giornalista di grande competenza che ha saputo raccontare con passione e coerenza la politica italiana, in anni non facili»); Deborah Bergamini di Forza Italia («Tristezza e cordoglio»); Maurizio Sacconi, Energie per l’Italia («Cangini giornalista libero e liberale al tempo dell’omologazione a sinistra»). I funerali si terranno oggi nel duomo di San Gimignano (Siena) alle ore 15,00.

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di GABRIELE CANE'

Di notte Volterra sembra un’astronave sospesa nel vuoto. Vedi le luci galleggiare sul buio di uno dei tratti di campagna più belli del mondo. Franco Cangini era come la Volterra di cui è originaria la sua famiglia. Galleggiava sulla vita e sulla professione senza mai farsi trascinare a fondo o sparare in alto, senza farti capire se stesse atterrando o decollando. Ci ha lasciato l’altra notte a 83 anni con la discrezione con cui ha vissuto. Lo ha fatto, lui nato a Pescara, a San Gimignano, nella sua Toscana dove si era ritirato dopo tanti anni romani a respirare aria di Palazzo, a raccontare le vicende politiche, la trasformazione (in peggio) di un Paese che, diceva «è come quel tale che si è abbottonato male il cappotto, e che può solo sbottonarlo e restituire a ogni bottone la propria asola». Attesa vana, per ora. Forse anche per questo Franco si era stancato di raccontare l’Italia. «Una mattina mi sono svegliato – mi disse qualche tempo fa quando gli chiedevo conto del suo silenzio – e ho scoperto che non avevo più voglia né di scrivere, né di leggere».

Ma quanto ha scritto e quanto ha letto prima di stancarsi, o di decidere di raccontare che si era stancato. Migliaia di note politiche, di articoli di fondo, di inchieste da terza pagina. Su questi giornali, e per una brevissimo tempo anche sul “Giornale” di Montanelli dove Berlusconi lo volle come condirettore in vista di una possibile successione al grande vecchio. Operazione che si rivelò subito impossibile. Peccato. Sarebbe stato bello un “Giornale” con la mano di Franco. Quella che aveva guidato con rigore e bravura “Il Resto del Carlino” dal 1985 al 1987, e che poi diede lustro al “Tempo” di Roma.

Giornalista e direttore, dunque. Il che non è la stessa cosa, rette parallele che Cangini seppe congiungere dando spessore con la sua firma al lavoro quotidiano di confezione del giornale. Cangini giornalista aveva due pregi. Sapeva quello che scriveva, e lo scriveva bene. Sarebbe normale, se non fosse l’eccezione. Sapeva perché studiava, si documentava. Ciò che accadeva in Italia, ma anche all’estero, con una conoscenza particolare del mondo centro e nord africano, della Libia, le cui vicende tanto hanno influito e tanto influiscono sulla nostra esistenza quotidiana. Non parliamo poi degli affari interni. A un certo punto non gli sono bastate le pagine del giornale, ed è nata, tra le altre, un’opera importante, definitiva: la “Storia della Prima Repubblica”, un compendio delle vicende, delle dinamiche e dei personaggi che hanno ridato fondamenta solide a un Paese in macerie. Tutto questo, Franco, lo ha sempre scritto con grande maestria. Documentato, elegante. Dal suo calepino grondavano appunti, citazioni, riferimenti storici. Con fluidità, ironia. Con il tempo è sempre migliorato. Maturità. Bravura assoluta. Un altro buon motivo, forse, per smettere, quando era ancora ben saldo sul podio della qualità.

Cangini direttore rifletteva le dinamiche del suo carattere. Attento soprattutto ai contenuti del giornale, alla sua autorevolezza. Il gusto della provocazione con i suoi collaboratori. «Perché non mettiamo in prima una bella barca a vela invece del solito Maradona?», senza che si riuscisse a capire se scherzasse o parlasse sul serio. Un approccio iniziale distaccato frutto di riservatezza, e forse anche di timidezza, che presto si trasformava in colleganza piena, capace di seminare amicizia, ammirazione e rimpianti. Quando lasciò il “Carlino” facemmo una foto ricordo di tutta la redazione. Lui si mise seduto per terra come un capo scout con attorno i suoi ragazzi. Una eredità e un imprinting che ha lasciato al figlio Andrea, direttore del “Qn” e del “Carlino”.

Ora le luci si sono spente. L’astronave non c’è più. Questa volta Franco è decollato sul serio.