Mercoledì 24 Aprile 2024

Figlio seviziato e ucciso Annullato ergastolo al papà

Nel 2019, Alija Hrustic picchiò e ustionò a morte il piccolo di 29 mesi. Pena ridotta in Appello a 28 anni, i giudici: "Non voleva ammazzarlo"

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di Mario Consani

Non aveva intenzione di ucciderlo. Però l’incredibile serie di violenze che nel corso di due giorni e una notte il padre inflisse a quel bimbo di soli due anni, finì per provocarne la morte. Non omicidio volontario aggravato da punire con l’ergastolo, dunque, piuttosto maltrattamenti aggravati dalla morte del piccolo, con la condanna dell’uomo a 28 anni di reclusione. Non lascia indifferenti la sentenza con cui la Corte d’assise d’appello ha ribaltato ieri il verdetto di primo grado sulla morte di Mehmed, 2 anni e 5 mesi, il cui corpo martoriato e senza vita fu ritrovato in un appartamento in zona San Siro, nel maggio 2019. Il padre Alija Hrustic, 27enne di origini croate, era stato condannato al carcere a vita, l’anno scorso, per omicidio, maltrattamenti e tortura. Ieri i giudici di secondo grado hanno invece riqualificato il reato più grave ed escluso la tortura, come hanno assolto l’uomo dai maltrattamenti ai danni della moglie con la formula "perché il fatto non sussiste".

È stata così respinta la richiesta della sostituta pg Paola Pirotta di confermare la condanna decisa in primo grado. Secondo i giudici d’appello, in attesa di leggere le motivazioni, la morte del piccolo fu dovuta ai plurimi maltrattamenti del padre e non conseguenza di un unico atto diretto e volontario.

Il caso Hrustic è il primo, in Italia, in cui è stata contestata la tortura nell’ambito delle violenze in famiglia. Stando all’indagine condotta all’epoca dei fatti dalla Squadra mobile di Milano coordinata dalla pm Giovanna Cavalleri, il bambino per i due giorni precedenti alla morte aveva subito le violenze del padre. Come è stato ricostruito in uno degli atti dell’indagine, il 27enne lo avrebbe colpito con "calci e pugni", gli avrebbe provocato "bruciature" sul corpo con l’estremità di sigarette accese e gli avrebbe anche ustionato i piedini "con una fiamma viva". L’autopsia sul corpicino del bimbo rilevò i segni di ben 51 lesioni. A ucciderlo sarebbero stati poi alcuni colpi sulla fronte. "Lungi da me l’idea di dire vittoria o sconfitta in un processo dietro il quale c’è una tragedia umana incolmabile", le parole del difensore dell’imputato, l’avvocato Giuseppe de Lalla.

"Al netto di ogni retorica - ha continuato - credo che la tesi difensiva sia la più aderente a una verità processuale sovrapponibile a quella fattuale". Per il difensore, già la sentenza di primo grado metteva in luce la "lacunosità" e le "contraddizioni" nel racconto della moglie che fu testimone delle violenze. "Mi riservo ogni commento più approfondito alla lettura delle motivazioni - ha continuato - ma da quello che emerge sinora anche la Corte d’assise d’appello ha fatto una attenta analisi di queste contraddizioni". Già nelle ragioni della sentenza di primo grado, i giudici avevano evidenziato dei dubbi sul comportamento della madre e moglie dell’imputato. "Non è apparso chiarito a sufficienza - si leggeva - se in concreto" la giovane "fosse stata nelle condizioni oggettive per tutelare in modo più efficace il figlio".