Venerdì 26 Aprile 2024

Commenti pericolosi sui social, quando un post rovina la vita. Web e giustizia: caso Diaz e altri

Per un post su Facebook si può perdere il lavoro o essere condannati

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Roma, 17 aprile 2015 - POST dal sen fuggito. Fabio Tortosa – il poliziotto sospeso dal servizio per aver scritto su Facebook «Io ero quella notte alla Diaz. Io ci rientrerei mille e mille volte» – non è l’unico a essersi pentito di di avere espresso i propri pensieri sui social network. Perché sono in molti, anche tra i vip, quelli che non sanno difendersi dalle loro versioni digitali. E chiedere scusa – l’agente dopo aver pubblicato la fras choc l’ha definita «stupida» – come insegna Metastasio «non vale», perché ormai è troppo tardi.

NELLA stessa trappola è caduta anche Paola Saluzzi, sospesa dalla conduzione di Sky Tg Pomeriggio per aver dato del «pezzo di imbecille» su Twitter al pilota di Formula Uno Fernando Alonso. Quando è scoppiata la bufera, la giornalista – ormai più rossa dei suoi capelli – ha cancellato il tweet e ha subito chiesto di essere perdonata: «Essere tifosi impone educazione. Ho sbagliato io e basta».

Le azioni sul web hanno infatti conseguenze dirette nel mondo reale.

NEL 2013 Justine Sacco, ex guru delle comunicazioni, ha perso tutto per un cinguettio senza rete di protezione. «Vado in Africa. Spero – aveva scritto – di non prendere l’Aids. Sto scherzando, sono bianca!». Quelle parole le sono costate il lavoro, la reputazione e gli affetti. «Nessuno – ha confessato pochi mesi fa – vuole più uscire con me».

E a volte ci si mette anche la giustizia. Lo sa bene una ragazza di Livorno che tre anni fa, dopo essere stata licenziata, si era sfogata su Facebook contro il suo ex titolare definendolo un «albanese di merda». Per le sue frasi, considerate diffamatorie esattamente come se fossero state stampate su un giornale, i giudici l’hanno condannata a pagare una multa da mille euro. «Come diceva un regista romano anni fa: ‘Le parole sono importanti’. E così – spiega l’avvocato Carlo Melzi d’Eril – ci si può ritrovare a pagare le conseguenze per frasi scritte su un social network».

ANCHE A molti anni di distanza, visto che a differenza del bar, dove tutto quello che è stato detto viene dimenticato quando cala la serranda, la Rete non scorda nulla. Tanto che ci sono società che si occupano di ripulire l’immagine dei propri assistiti. «Il web – fa notare Michael Fertik, amministratore delegato di Reputation.com – è come un tatuaggio digitale: una volta applicato può restare per sempre».

Uno dei pochi che sembra sempre fiero di mostrare i suoi cyber ‘tattoo’ è il senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri. I suoi insulti su Twitter a una fan di Fedez in sovrappeso e l’accusa al ministro della Difesa Roberta Pinotti di «portare jella» hanno fatto più volte il giro della Rete. Chidere scusa? Neanche per sogno. Metastasio ne sarebbe fiero.