Sabato 14 Giugno 2025
BEPPE BONI
Cronaca

Il reduce da Kabul: "Io, ex ufficiale afghano rischiai tutto per l’Italia. Ora non abbandonatemi"

Il capitano delle forze speciali fu portato in Liguria dove vive dal 2020. "Gli occidentali ci prelevarono per evitare sicure ritorsioni dei talebani. Il programma di assistenza sta per finire, ma non posso tornare in Afghanistan"

Il capitano Aijad Mohammadi, ex ufficiale delle forze speciali afghane

Roma, 27 maggio 2024 – Il reparto con la maschera del teschio sul volto avanzavano quando gli altri si fermavano, gli arditi afghani agivano dove gli elicotteri inglesi e americani erano fuori gioco. I talebani ne conoscevano il valore e li temevano come fossero diavoli. Il capitano Aijad Mohammadi, 34 anni, fisico da atleta, è uno degli ufficiali dell’Afghanistan Special forces Brigade, le forze speciali, che ha combattuto fino all’ultima raffica mentre nell’agosto 2021 cadeva Kabul e l’esercito americano, con le altre forze dell’Alleanza, abbandonava il Paese nelle mani dei Talebani. L’ufficiale delle ‘facce di teschio’ insieme alla sua famiglia, moglie, figli, tre fratelli, nipoti in totale 18 persone, riuscì a salire sull’ultimo aereo dell’Operazione Aquila omnia che portò in Italia circa 5mila persone, fra militari, interpreti e collaboratori degli eserciti occidentali. I talebani li consideravano traditori e la loro vita laggiù non valeva più nulla. Oggi il programma governativo Sai, Sistema accoglienza e integrazione, della durata di due anni sta per terminare e molti profughi, compreso Aijad Mohammadi, che vive a Sestri Levante, hanno un punto interrogativo al posto del futuro.

Capitano Mohammadi vi sentite abbandonati?

"Devo molto all’Italia ma da fine mese cessa l’assistenza economica che comprende anche un’abitazione concessa dal comune e pagata dallo Stato italiano. Ci hanno detto di liberare la casa ma non sappiamo dove andare. Io lavoro a chiamata per la sicurezza in un hotel, ma senza un lavoro stabile nessuno ti affitta un alloggio".

Lo considera un suo diritto?

"Ho rischiato mille volte la vita per il mio Paese e per l’Alleanza occidentale, ho combattuto, sono stato ferito in battaglia, sono stato disposizione senza sosta per italiani e americani. Chiedo di lavorare in Italia con dignità e mantenere la famiglia. E così i miei fratelli, uno dei quali era capo dell’intelligence".

Qual è il vostro status oggi?

"Abbiano ottenuto la qualifica di rifugiati, ma il mio sogno è la cittadinanza italiana. Nel limbo ci sono migliaia di afghani in Italia".

Ha avuto vittime in famiglia?

"Mia madre è morta quando la nostra casa, nel sud est dell’Afghanistan, è stata distrutta dall’artiglieria, un mio fratello è rimasto ucciso in guerra. I talebani lo hanno catturato e gli hanno tagliato la testa".

Lei se l’è cavata.

"Potevo morire ogni giorno perché il mio reparto effettuava le azioni e le incursioni più pericolose. Sulla mia testa i talebani delle Red forces, addestrati dai russi, hanno messo una taglia".

Come siete arrivati in Italia?

"Quando nell’estate 2020 si è sciolto il governo e il Paese è passato nelle mani del Talebani a noi militari è stato detto di abbandonare la divisa. Il mio reparto è stato fra gli ultimi a resistere. Poi io e i miei familiari ci siamo dovuti nascondere per giorni, cambiando spesso posto, perfino dentro un pozzo. I talebani ci cercavano per ucciderci. Siamo rimasti in un nascondiglio fino alla chiamata di un ufficiale italiano e abbiamo raggiunto l’aeroporto da dove siamo partiti per l’Italia".

Come comincia la sua storia di soldato?

"Ero in polizia poi nel 2011, in base ad un accordo con l’Italia, ho frequentato l’Accademia militare di Modena e la scuola di applicazione di Aosta. Tornato in Afghanistan sono entrato subito nei commandos dell’esercito, le forze speciali. Io comandavo una brigata di circa 200 uomini pronti a tutto, super specializzati".

Quali erano i vostri compiti?

"Eravamo dotati di armi leggere, mortai e lanciarazzi. Il comando alleato ci impiegava soprattutto nei luoghi più impervi insieme alle forze speciali dell’Alleanza dove gli aerei e gli elicotteri faticavano ad intervenire. Incursioni, blitz improvvisi, attacchi notturni. Noi conoscevano il territorio, le persone, la lingua, sapevano distinguere amici e nemici, spesso mischiati. Ci muovevano in elicottero, in aereo o sui blindati a seconda del tipo di intervento".

Uomini per le missioni impossibili.

"Più volte siamo intervenuti per aiutare i militari dell’Alleanza caduti in imboscate. Noi agivamo col volto coperto per evitare di essere riconosciuti. Le vendette contro le nostre famiglie erano sempre possibili. Abbiamo combattuto anche contro l’Isis e pure loro non facevano prigionieri: tagliavano le teste".

Dove venivano addestrati i commandos afghani?

"In Italia, Stati Uniti, Australia. Ci hanno insegnato ad usare ogni tipo di arma, a utilizzare tecniche di sopravvivenza, a combattere in aree urbane, foreste, deserto. Siamo sempre stati molto motivati, sapendo di agire per il bene dell’umanità".

L’Afghanistan di oggi.

"C’è un governo centrale mentre prima il capo di ogni provincia non rispondeva a nessuno. Inoltre è stato sconfitto l’Isis, combattuto anche dai talebani. L’aspetto negativo è che è un Paese senza libertà, dove le donne non possono studiare. E i Talebani interpretano la legge islamica a modo loro, in modo sbagliato".

La comunità di Sestri Levante come vi ha accolto?

"Tutti ci vogliono bene. Quattro dei miei cinque bambini di 11,10,7,4 e 1 anno, vanno a scuola e sono felici. Come me sognano un futuro in Italia".

Questa è la storia del comandante Aijad, tornato dall’inferno. Merita di essere aiutato.