Lunedì 17 Giugno 2024

"Il mio Paese e i diritti delle donne calpestati"

Saliha Sultan, fuggita dall'Afghanistan, racconta la sua storia ne La bambina di Kabul per dare voce alle donne afghane e denunciare il ritorno dei talebani.

di Marina Santin

Saliha Sultan vive in Italia da vent’anni, ma non ha mai dimenticato il suo passato. Lo racconta ne La bambina di Kabul, il suo romanzo d’esordio che racchiude la storia della sua fuga dall’Afghanistan. Il ritorno al potere dei talebani, nell’agosto del 2021, rappresenta un’enorme minaccia per i diritti delle donne, a cui viene tolta la possibilità di istruirsi e costruire un futuro libero, e Saliha – che è nata e cresciuta nel nord dell’Afghanistan sotto il regime dei mujaheddin – ha deciso di fare sentire al mondo la loro voce con un libro . "Prima dell’arrivo dei talebani – racconta – scrivevo per due giornali afghani parlando dei diritti delle donne. Quando li hanno chiusi, ho sentito l’esigenza di fare qualcosa e ho pensato di scrivere un libro. All’inizio volevo creare una storia, un personaggio, scrivendo però tornava a galla tutto ciò che avevo vissuto, perchè quello che sta succedendo ora nel mio Paese, l’avevo sperimentato vent’anni fa, quando ero ancora una bambina. Quindi ho deciso di raccontare la mia storia. Non è stato facile, ma spero possa permettere al mondo di vedere le donne afghane e l’Afghanistan, una terra quasi dimenticata".

Cosa prova pensandoci?

"All’inizio è stato doloroso, perché riaffioravano tutti i ricordi. Una mattina, come racconto nel libro, mentre la televisione mostrava le immagini di ragazze afgane disperate, all’improvviso sono scoppiata a piangere, non pensavo che, dopo tanti anni in cui il mio Paese era andato avanti, fosse possibile tornare indietro. Tutta la mia famiglia vive ancora lì e mio padre è stato assassinato dai talebani a marzo 2021. La rabbia che ho provato è stata un’ulteriore spinta per scrivere il libro".

Le nuove generazioni hanno vissuto la democrazia e la libertà, pensi possano cambiare il futuro del Paese?

"Se viene data loro la possibilità di farlo, si può avere un po’ di speranza. I talebani però, non danno spazio alla generazione che ha studiato e che potrebbe davvero cambiare il proprio Paese, accettano solo il loro governo. Si ha paura a raccontare o a esprimere il proprio pensiero, perché si viene uccisi o portati in prigione".

Quanto è stato difficile integrarti in un nuovo Paese mantenendo comunque la tua identità?

"Quando sono arrivata in Italia, dopo essere stata una settimana in Iran e senza mai essere uscita dall’Afghanistan mi sono trovata in un Paese completamente diverso dal mio. Ero sola, avevo 17 anni e non parlavo l’italiano, e all’inizio è stato difficile. Poi però, sono andata a scuola, ho imparato la lingua e volevo anche iscrivermi all’Università, ma il mio diploma a quei tempi non era riconosciuto e ho cominciato a lavorare. Piano piano mi sono completamente inserita. Nonostante siano passati vent’anni, non sono ancora cittadina italiana e mia figlia, che ha quindici anni è nata in Italia, non può avere il passaporto e per lei questo è limitante. Comunque, non ho mai dimenticato l’Afghanistan, sono sempre in contatto con le persone vicine a me, dalla mia famiglia alle mie compagne di scuola".