Sabato 27 Aprile 2024

Coronavirus Brescia, l'ira del sindaco: "Noi sacrificati, tanti errori e poche zone rosse"

Il primo cittadino Del Bono: il numero dei morti è più alto dei dati ufficiali, molti malati restano a casa " Cremona andava chiusa. Bisogna fare più test ai familiari dei contagiati e cercare gli asintomatici"

Paziente trasportato ieri in aereo dalla Lombardia a Lipsia (Ansa)

Paziente trasportato ieri in aereo dalla Lombardia a Lipsia (Ansa)

Brescia, 26 marzo 2020  Mille contagiati con coronavirus Covid-19 in città, 6.500 in tutta la provincia. Centocinquantasei morti. Brescia è in prima linea e secondo il suo sindaco, Emilio Del Bono, la situazione è persino peggiore di quanto raccontano le cifre ufficiali.

Perché pensa che sia ancora peggio? "Il numero dei morti è maggiore perché tanti sono malati in casa e non sappiamo come stanno. Ci sono presunti positivi o asintomatici a cui non viene fatto tampone e vengono fatti rimanere a casa".

Che cosa ha accelerato il contagio? "La chiusura di Codogno ha funzionato parzialmente, perché i malati sono stati portati a Cremona, e da lì si sono generati nuovi focolai. Cremona andava chiusa".

E invece sono state aperte le zone rosse... "La prima lezione che dobbiamo imparare è che servono zone rosse dove abbiamo numeri di contagio più alti".

Quanto incide non fare i tamponi a tutti? "Questo è il secondo aspetto. Come nel modello Veneto, si dovevano fare più verifiche nei nuclei sociali e familiari. Laddove c’era una positività o persone in auto isolamento, andavano verificati gli altri componenti, così come andavano sondati meglio alcuni contesti come le Rsa. Queste questioni sono emersi come elementi di criticità".

Lei lo aveva chiesto? "Come sindaci delle città capoluogo avevamo posto fin dai primi di marzo la necessità di adottare provvedimenti differenziati per le zone diverse, con rigidità graduali nelle aree più colpite".

La Lombardia si è dimostrata vulnerabile. "Purtroppo a Brescia non siamo entrati ancora nella parabola discendente e questo è dettato dal fatto che siamo partiti qualche giorno dopo Bergamo. Il contagio dal Sud della Lombardia è salito con velocità impressionante verso Brescia, ed ormai sfiora l’Adamello".

Si poteva prevenire? "Quando è iniziato, nessuno aveva previsto tanta virulenza e brutalità, nessuna struttura sanitaria a fine febbraio aveva trasferito questo tipo di messaggio alle istituzioni".

Il caso bresciano potrà essere da guida per evitare errori? "Anche ieri sera (martedì, ndr) ho anticipato al presidente Conte la nostra esperienza. Credo che abbia al suo fianco tecnici che sappiano suggerirgli cosa fare. Mi sono appellato a lui, perché vengano trasferite risorse umane, medici, infermieri e dispositivi laddove la situazione è più pesante. Mi ha informato che tra ieri e oggi sarebbero arrivati 50 medici alla Lombardia, ma la distribuzione sulle province spetta alla Regione. Noi abbiamo personale medico ospedaliero che è allo stremo, hanno bisogno di essere sostituiti".

Sono mancati anche i dispositivi di protezione, come le mascherine? "Ci siamo dimostrati fragili, come sistema produttivo ed economico, a rispondere all’emergenza".