Mercoledì 24 Aprile 2024

Iphone compie 10 anni, lo scienziato: così i cellulari ci hanno modificato

Lamberto Maffei: "Cambiati i collegamenti neuronali del pensiero. Siamo indifferenti e incapaci di riflettere"

Dieci anni di iPhone (Afp)

Dieci anni di iPhone (Afp)

Professore, liPhone compie 10 anni. La sua preoccupazione per l’eccesso di connessione ricorda le parole di Thomas Stearns Eliot, quando scriveva che l’uomo ormai confonde la saggezza con la conoscenza e la conoscenza con l’informazione. Perché dovremmo spaventarci?

«Perché l’iPhone, i tablet e i social stanno modificando il nostro cervello e quindi i nostri comportamenti, e non in meglio».

Perciò sono un male?

«Le tecnologie degli ultimi 15 anni sono veramente brillanti. Il cambiamento della cultura che ne è derivato lo considero positivo: le comunicazioni sono aumentate enormemente, sono diventate veloci e facili. E il mercato spinge per diffonderle sempre di più, moltiplicando la velocità di questo nostro tempo. Solo che ci sono degli effetti collaterali, soprattutto nei giovani, che sono molto più influenzabili dal punto di vista cerebrale».

Quali sono?

«Intanto, sotto l’aspetto fisiologico, l’uso continuo di questi strumenti sta cambiando i collegamenti neuronali stimolando quelli del pensiero veloce a sfavore di quelli preposti al pensiero lento, riflessivo».

Pensiamo in modo più istintivo e ragioniamo meno?

«Precisamente. Il deperimento della riflessione ha poi delle conseguenze sul piano dei comportamenti sociali: diventiamo sempre più sensibili alle sirene del consumismo e indifferenti alla conoscenza e al sapere».

E poi?

«I ragazzi stanno ore e ore con gli smartphone in mano, non fanno che comunicare e chattare con tutti, ma questo gran lavoro è solo un’apparente apertura verso il mondo. Perché il grande paradosso di tutto questo comunicare è che, in realtà, sono sempre più soli, chiusi in se stessi e nel loro mondo virtuale».

La realtà virtuale non potrà mai sostituirsi alla realtà fisica, senza gravi conseguenze.

«Senza dubbio. Comunicano con gente che non conoscono, che non vedono davvero. Sono solo parole che volano, e spesso parole routinarie: ‘Come stai? Cosa fai?’. Ma sono soli. Non toccano nessuno. Non danno la mano a nessuno. Da un punto di vista fisiologico il tatto è il grande recettore che ci fa umani, che è proprio della nostra specie. I giovani stanno perdendo il contatto umano, quello che si fa con la carne e non con le parole che viaggiano in un filo».

L’era della massima comunicazione finisce per realizzare la massima solitudine.

«Una solitudine che non è soltanto una condizione esistenziale, ma che ha anche degli effetti psicologici e organici. Nel Giappone iper tecnologico tutto questo è noto da anni: hanno due o tre milioni di giovani ‘drogati’ di tecnologia che mostrano fenomeni di inappetenza, anoressia, bulimia, obesità, depressione, disturbi del metabolismo, disturbi cerebrali. Al policlinico Gemelli di Roma hanno creato un centro per ragazzi con questi disturbi, che aumenteranno sempre di più».

È inevitabile del resto che la tecnologia continui il suo percorso.

«Assolutamente sì, è innegabile che questi strumenti siano importanti. Ma sono, appunto, solo strumenti e vanno usati come tali. Se diventano parte del cervello, guideranno i nostri neuroni e diventeremo tutti drogati».

Addirittura parte del cervello?

«Certo. Se si toglie a un ragazzo lo smartphone, si sentirà deprivato, irrequieto. Perché ormai è una parte della sua mente».

Per avere i vantaggi delle nuove tecnologie ma evitarne i rischi su cosa dobbiamo puntare?

«Sulla scuola. Nel senso più ampio. Sull’educazione. Non possiamo negare la tecnologia, ma possiamo aiutare i giovani ad avere stimoli più reali e profondi, interessi più umani. Meno informazione e più formazione».