Gentiloni, tutti i flop del mediatore. Nel limbo delle scelte già tracciate

Eredità scomoda per la scuola. Insufficiente su terremoto e spesa

Il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni (Ansa)

Il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni (Ansa)

Roma, 12 dicembre 2017 - Fran parte del lavoro di Paolo Gentiloni in questo anno trascorso alla guida del governo è stato la continuazione di quel che Renzi aveva impostato quand’era presidente del Consiglio – o che ha imposto da segretario del Pd. Prendiamo il caso della ‘Buona scuola’. Sin dall’inizio si è trattato di un approccio sbagliato: anziché la qualità dell’istruzione aveva per scopo la stabilizzazione dei precari, dunque, era una misura per l’occupazione non una riforma del sistema educativo. Nondimeno l’unico, paradossale, risultato fu di scatenare l’ira dei sindacati e la rivolta degli insegnanti, tradizionale bacino elettorale della sinistra. Ormai conscio del disastro Renzi impose a Gentiloni di sostituire l’invisa ministra Giannini, con una sindacalista Cgil, Valeria Fedeli. In effetti le proteste sono diminuite, ma non le cattedre vuote, non gli abbandoni nella scuola dell’obbligo, non la penuria di laureati.    Anche la gestione del post terremoto nell’Italia centrale ha visto un avvicendamento, ma sempre tra politici: nel ruolo di commissario straordinario Paola De Micheli deputata e sottosegretaria è subentrata all’erratico Vasco Errani, ma molti dubitano che, al pari del predecessore, abbia la competenza e l’energia necessarie a smaltire migliaia di tonnellate di macerie e di avviare la ricostruzione.   Gentiloni è invece riuscito a completare l’iter di altri provvedimenti lasciatigli in eredità da Renzi: dal reddito d’inclusione, alla nazionalizzazione del Monte dei Paschi di Siena, al salvataggio delle banche minori. Eppure la partita dei crediti inesigibili resta aperta, mentre si avvicina la fine del quantitative easing voluto da Mario Draghi e i suoi moniti a fare le riforme necessarie restano inascoltati. La spesa pubblica continua a crescere, gli investimenti no. Viceversa, la promessa di affrontare la strabordante disoccupazione giovanile si è almeno in parte realizzata con 1675 nuovi contratti per ricercatori e con la de-contribuzione per i neo assunti sotto i trentacinque anni. Il resto degli investimenti sociali, causa la pressione dei sindacati, servirà a finanziare pensioni anticipate per le categorie più disagiate di lavoratori.    Il Governo in carica ha certamente segnato una svolta in materia d’immigrazione, ma il merito va attribuito per intero al ministro dell’Interno Marco Minniti. All’inizio Gentiloni era apparso riluttante ad assecondare la svolta. Anzi, tra il decisionismo di Minniti e il buonismo di Delrio contrario a limitare gli sbarchi e al codice per le ong sembrava propendere per quest’ultimo. Alla fine però si è arreso alla determinazione del primo.    La conferma di Visco a governatore della Banca d’Italia poteva inscenare un casus belli tra Gentiloni e Renzi. Premuto dal Quirinale e dall’establishment Gentiloni più che tirare dritto ha seguito la corrente e Renzi si è contentato di far sapere la sua contrarietà. E così entrambi hanno perso l’occasione di applicare la legge in vigore – voluta da Tremonti – e di avviare la riforma della governance di Banca d’Italia.   In quel che si è visto del governo Gentiloni si stenta a riconoscere il timbro della novità e della leadership. Al netto del garbo e della misura di un presidente tanto mediatore e discreto quanto Renzi era temerario e autoritario rimane un’impressione pallida. Governare sotto elezioni non è mai facile, ancor meno se si governa per delega di qualcun altro e il limbo politico senza un progetto e senza una maggioranza è durato anche troppo.