Mercoledì 24 Aprile 2024

'The place', i perfetti sconosciuti questa volta siamo noi

Nel nuovo film di Genovese le questioni di coscienza

Cast di The Place (Lapresse)

Cast di The Place (Lapresse)

Roma, 5 novembre 2017 - Seduto al tavolo di un bar, un tipo misterioso ascolta le persone che vanno a chiedergli aiuto. «Si può fare», ripete a tutti, all’anziana signora che ha il marito con l’ Alzheimer e vorrebbe riaverlo com’era prima della malattia, al giovane cieco che vorrebbe riacquistare la vista e a tutti gli altri, con piccoli o grandi problemi, desideri, sofferenze. Ma per tutti c’è un prezzo da pagare e si tratta spesso di azioni da compiere davvero terribili, anche criminali. A loro la scelta se eseguirle oppure no. È “The Place”, il nuovo film di Paolo Genovese, opera corale con Valerio Mastandrea (nel ruolo dell’uomo misterioso), Giulia Lazzarini, Sabrina Ferilli (la cameriera del bar), Vinicio Marchioni, Marco Giallini, Vittoria Puccini, Alba Rohrwacher, Alessandro Borghi, Silvia D’Amico, Silvio Muccino, Rocco Papaleo. Film di chiusura della dodicesima edizione della Festa del Cinema di Roma, dove ieri è sfilato il numeroso e appaludito cast, sarà dal 9 novembre nelle sale.

Genovese, un legame tra questo film e il precedente, “Perfetti sconosciuti”?

«Se esiste un filo rosso tra i due film, è che entrambi indagano la parte oscura delle persone. Non sono film solari. Ma se “Perfetti sconosciuti” voleva mostrare quanto poco conosciamo le persone che ci stanno attorno, questo ci porta a guardare dentro noi stessi».

Un film, questo, di tono molto diverso, dramma e non commedia.

«Dopo il successo di “Perfetti sconosciuti” i produttori mi hanno lasciato libero di scegliere che film fare. Una grande opportunità: raccontare la storia che volevo, potendo anche contare (almeno nel primo weekend di programmazione) sulla fiducia del pubblico che ha visto “Perfetti sconosciuti”. Per questo mi sarebbe sembrato di sprecare una grande occasione se avessi fatto un film simile al precedente. I Taviani dicono che bisogna dare al pubblico non ciò che si aspetta, ma ciò che potrebbe piacergli. Ho usato il credito acquisito con “Perfetti sconosciuti” per osare. “The Place” è sicuramente drammatico ma stimolante».

Ci si chiede chi sia il tipo misterioso, ma il film non dà una risposta.

«Volutamente non è definito perché per ognuno è qualcosa di diverso. Non è il diavolo, non è Dio, non è un angelo. Ognuno deve fare i conti con la propria coscienza. Cosa sei disposto a fare per ottenere ciò che vuoi? In questa epoca, anche per via dei social, siamo sempre pronti a giudicare gli altri. Questo film chiede, anche in modo violento, di giudicare noi stessi».

Si è ispirato a una serie americana?

«È una piccola serie da cui sono rimasto folgorato. Ho preso l’idea, tolto alcuni personaggi, altri ne ho aggiunti. La cosa più difficile, trattandosi di episodi di 12 minuti, è stato dare fluidità al racconto. Ho cercato poi di arricchire i personaggi, di intrecciare le varie storie e di dare a tutte un finale».

Un film corale. Come ha lavorato con gli attori?

«Hanno lavorato tutti un paio di giorni, tranne Valerio Mastandrea che è rimasto per tredici giorni seduto nel bar (un locale di via Gallia, a Roma) e quindi, se quest’anno vincerà il David di Donatello, sarà per la migliore scenografia. Scherzo, in realtà il suo ruolo era molto difficile. Era fondamentale che il film fosse corale perché volevo mostrare allo spettatore dieci diversi punti di vista. Volevo portarlo a riflettere, per dieci volte, su cosa farebbe lui se si trovasse in quella situazione. E sapendo che dipende, non da un dio o da qualcos’altro, ma soltanto da lui stesso, dal suo libero arbitrio».

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