Giovedì 25 Aprile 2024

Kevin Spacey: "Il mio idolo è Lemmon. Ma sono più cattivo"

L'attore premio Oscar: "Al cinema e in tv scelgo i personaggi che nascondono misteri"

Ansel Elgort e Kevin Spacey in "Baby Driver" (Lapresse)

Ansel Elgort e Kevin Spacey in "Baby Driver" (Lapresse)

Roma, 21 agosto 2017 - Eccolo, Kaiser Soze. Lo incontrammo lì, per la prima volta: uno dei «soliti sospetti», il più innocuo. E invece, nascondeva abissi spaventosi, sotto la voce quieta, sotto l’apparenza dimessa. Da allora, Kevin Spacey è stato uno dei soliti perfetti. Perfetto in ogni film che ha interpretato: vincendo peraltro due Oscar, uno proprio con “I soliti sospetti”, l’altro con “American Beauty”. Passando per “S7ven”, altro capolavoro di ambiguità, in cui Spacey ruba la scena persino a Brad Pitt. Più recentemente, Spacey, 58 anni, ha conquistato il mondo con la serie televisiva “House of Cards - Gli intrighi del potere”, in cui interpreta Frank Underwood, politico disposto a tutto pur di arrivare.       Ieri era a Roma, Spacey, per presentare uno dei più inattesi successi della stagione estiva, “Baby Driver – Il genio della fuga”, già 170 milioni di dollari incassati, vede Spacey protagonista insieme ad Ansdel Elgort, a Lily James e a Jamie Foxx. Nei giorni scorsi, Spacey era seduto ai tavolini di un caffè di Ravello, dove girerà “Gore”, biopic su Gore Vidal, scrittore e drammaturgo americano, scomparso nel 2012, innamorato dell’Italia. Le riprese del film, prodotto da Netflix e diretto da Michael Hoffman, dopo i primi ciak a Roma proseguiranno in costiera amalfitana, nella villa La Rondinaia appartenuta a Gore. A Roma, Spacey ha anche girato il film di Ridley Scott sul rapimento di Paul Getty: ma niente trapela su quel film. Mentre in “Baby Driver”, Kevin Spacey è il boss di una gang che sfrutta le qualità di un giovane pilota prestato alle rapine. Film pieno di musica – il pilota agisce al ritmo delle sue playlist – “Baby Driver” uscirà in Italia il 7 settembre. 

Spacey, “Baby Driver” è nel mondo un successo inatteso: 170 milioni di dollari già incassati. Qual è il segreto del film? 

«Direi che la musica è una componente fondamentale. Già in fase di sceneggiatura ascoltavamo la musica della colonna sonora, e battevamo il piede fra un dialogo e l’altro. Il regista, Edgar Wright, è giovane, ha un’inventiva brillante, un gran talento di narratore. Anche sul set, ogni attore aveva delle cuffiette con il brano che avrebbe caratterizzato la scena». 

Qual è la sua personale playlist del cuore?

«Stevie Wonder, i Beatles, i Supertramp, Marvin Gaye, ma anche Ella Fitzgerald».

Parlando di Gore Vidal, come si sente a interpretarlo? 

«Vidal era una figura complessa, geniale, dal talento immenso. Spero solo di riuscire a rendere onore alla sua personalità. E poi farei sempre film in Italia, mi piace tutto del vostro paese: magari, vorrei solo piovesse un po’ di più!».

Che cosa raccomanderebbe ad un giovane attore? 

«Non penso di avere qualcosa da insegnare a nessuno. Quando ero giovane, la mia lezione più grande era quella che mi veniva dall’osservare attori come Jack Lemmon, che è sempre stato il mio punto di riferimento». 

Lemmon, come lei, sapeva interpretare personaggi comici e drammatici, essere positivo e ambiguo… 

«Sì, anche se non oserei mai paragonarmi a lui. Mi affascina interpretare personaggi ambigui, perché il pubblico può cambiare il giudizio su di essi nel corso del film».

La sua carriera è straordinaria. C’è qualche ruolo che le manca?

«Forse mi considerano troppo “serio”, e mi offrono poche commedie. Il mondo del cinema tende a chiudere gli attori in ruoli prefissati; invece a me, al contrario, piace spiazzare. Non mi piace eseguire sempre la stessa canzone, suonare sempre lo stesso disco. Mi piace sorprendermi ogni giorno, chiedermi ogni mattina: che cosa succederà?». 

A proposito di «che cosa succederà», che cosa pensa di questa nuova ondata di terrorismo? L’Europa è sotto attacco? 

«No, non credo che l’Europa sia sotto attacco. Ci sono alcuni personaggi, dei perdenti, tristi e isolati, che cercano il modo più facile per uccidere le persone. È triste, è orribile che ci siano persone ferite e uccise. Ma la cosa più importante è il modo in cui noi, l’Occidente, riusciremo a rispondere. I media scrivono che siamo sotto attacco: ma si tratta di alcuni casi. L’importante è proprio non drammatizzare, dimostrare che in realtà non ci sentiamo sotto attacco. Alla fine, le cose si sistemeranno».

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