Giovedì 25 Aprile 2024

Jack Nicholson compie 80 anni

Eccessi, Oscar e amori. Il compleanno di Nicholson. Pronto per un nuovo film

Jack Nicholson e Peter Fonda in Easy Rider (Ansa)

Jack Nicholson e Peter Fonda in Easy Rider (Ansa)

New York, 22 aprile 2017 - QUELLE SOPRACCIGLIA. Ad angolo acuto. Quegli occhi che guardano da sotto in su. Quel ghigno. Quell’aria di saperla sempre più lunga. Diabolico, terrificante, dominatore, in “Shining”. C’è sempre un ghigno che ti fa capire che ha vinto lui. E non sai mai se ha perso la ragione o se invece ha già capito tutto. Jack Nicholson compie oggi 80 anni. Tre Oscar vinti, innumerevoli altri premi. Pochi film negli ultimi anni. Le voci dicevano che avesse deciso di smettere: problemi di memoria. E invece...   MA TORNIAMO indietro nel tempo. È il 1937, nel New Jersey, un po’ il retrobottega di New York. La madre, June, è una ragazzina, ha 18 anni. Del padre neanche l’ombra. E allora, i nonni decidono di crescere Jack come fosse figlio loro. Scoprirà solo nel 1975, da un giornalista di Time, che sua “sorella” era in realtà sua madre. Jack ha solo 17 anni quando va a Hollywood: trova lavoro alla Metro Goldwyn Meyer, ma al reparto cartoni animati, a disegnare. I ruoli al cinema per lui sono minuscoli, fino a “Easy Rider”, insieme a Dennis Hopper e a Peter Fonda. È il 1969, ed è la sua prima nomination all’Oscar. Inizia per lui un’era di sesso, droga e rock ‘n’ roll. Feste fino all’alba, fino all’inverosimile: sosteneva Robin Williams che Jack Nichsolson fosse stato l’unico al mondo a sentire da Keith Richards la frase «si è fatto tardi, me ne vado a casa». Sesso: lo chiamano «Jack the Jumper», quello che zompa. Dove? Nei letti delle donne. La leggenda dice che ne abbia amate duemila. Compra una casa a Mulholland Drive, e con vicini di casa come Marlon Brando e Jim Morrison presto la strada viene chiamata «Bad Boys Drive». Di matrimoni, solo uno, con l’attrice Sandra Knight. Di figli, cinque. Ma il grande amore – 16 anni – è con Anjelica Huston: finisce quando lei scopre che lui sta per avere un figlio da un’altra donna.    ECCESSI, tanti. Ma sul set è irreprensibile. «Non ho mai fatto aspettare la cinepresa», dice. I film: “Chinatown” di Polanski, “Professione: reporter” di Antonioni nel 1975, e “Il postino suona sempre due volte” di Rafelson nel 1981. Ed è un Joker grottesco in “Batman” di Tim Burton, 1989; o un misantropo ossessivo compulsivo in “Qualcosa è cambiato”. L’Oscar lo vince per “Qualcuno volò sul nido del cuculo” di Milos Forman (la sua interpretazione di un internato in manicomio è ai limiti del sublime), per “Voglia di tenerezza” nel 1984 e per “Qualcosa è cambiato” nel 1998. Il resto sono le eccentricità di un divo che tiene al suo lavoro. Nessun’intervista tv dal 1971, e invece tanti viaggi: anche a Cuba, dove diventa amico di Fidel Castro. L’amore per il basket e i Los Angeles Lakers, quello per la musica di Louis Armstrong e di Bob Dylan, il sostegno al Partito democratico espresso più e più volte. E una vecchia Mercedes Benz 600 “presidenziale” con cui gira da trent’anni, gli occhiali da sole famosi, che però sono anche da vista: non ci vede quasi nulla. Ha case a Malibu, a Beverly Hills, ad Aspen in Colorado, alle Hawaii. Colleziona quadri: ha dei Picasso, Matisse, Warhol. Un vezzo: non ha mai posseduto un cellulare. E non va in pensione, no. Sarà protagonista del remake Usa di uno dei film più pazzi della stagione, “Toni Erdmann”: il ruolo di un padre sguaiato, aggressivo, impresentabile, che fa scherzi volgari alla figlia e che si rivela di un’umanità pazzesca, sembra fatto apposta per lui. 

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