Mercoledì 24 Aprile 2024

Il codice Bergoglio

di Gabriele Canè

BEH, non si può dire che lui, il Papa, di giustizia, soprattutto di quella cattiva, non se ne intenda. Il golpe del 1976 nella sua Argentina, la dittatura spietata dei generali. Le torture, i prigionieri buttati in mare dagli aerei, i desaparecidos di cui ancora oggi le mamme con il fazzoletto bianco in testa chiedono notizie col loro girotondo nella Plaza de Mayo. Se ne intende Bergoglio. Per questo il suo appello di ieri non è stato solo quello di un Pontefice. Non ci sono state solo la pietà, l’indulgenza, l’invocazione. È un vero e proprio manuale di diritto e procedura penale che il Papa ha voluto affidare al mondo, e che le orecchie degli italiani hanno ascoltato con particolare attenzione. Forse non parlava di noi. Forse pensava al suo Paese. Ma sta di fatto che il codice garantista del Santo Padre affida spunti importanti alla nostra riflessione. 

NON TANTO e non solo per quanto riguarda la pena di morte o l’ergastolo. La prima l’abbiamo abolita nel 1948, e addirittura il Granducato di Toscana l’aveva già soppressa il 30 novembre del 1786; il secondo, anche quando viene comminato, si liofilizza al massimo a 30 anni. Qualcuno dirà: mica poco. Certo. Ma forse sta peggio chi da quel condannato è stato ucciso o violentato. Ciò che ci tocca da vicino, invece, è la denuncia di Francesco sull’eccesso e la pericolosità sociale della carcerazione preventiva. Una prevenzione di cui non è sicura l’efficacia, e che comunque anticipa una sanzione che a volte (molte volte) non arriva, nel Paese in cui i cittadini non dovrebbero essere considerati colpevoli fino a condanna definitiva. Condanna che non viene spesso dalla Cassazione, ma già titolo di un giornale. Orribile. Una prevenzione che dovrebbe essere limitata, ma che nella realtà non ha limiti se oltre il 40 per cento dei detenuti è in attesa di giudizio, mentre in Francia la percentuale è del 23 e in Germania del 16. Intendiamoci: la denuncia del Papa piove sul bagnato, nel senso che il dibattito sul limite della carcerazione preventiva, sulla necessità di pene alternative, è vivo da tempo in Italia. Ma mentre discutiamo e riflettiamo, il problema cresce. In attesa forse che ci pensi la giustizia divina. Quella che a quanto pare, con il rigore che sta dimostrando il Vaticano, neppure il Papa ha la pazienza di aspettare.

di Gabriele Canè