Mercoledì 24 Aprile 2024

Lo strappo di Grasso

QUALCHE anno fa, il costituzionalista fiorentino Carlo Fusaro passò in rassegna i parlamenti dei principali paesi europei per verificare in quanti e quali casi fosse mai avvenuto che a ricoprire il ruolo di presidente di assemblea fosse stato indicato un neofita, un neoeletto, uno senza alcuna esperienza. Tanto sforzo per nulla. La risposta fu: in nessuno. E si capisce. Per “arbitrare” i lavori parlamentari occorrono una consistente esperienza diretta e una minuziosa conoscenza dei regolamenti. Viceversa, si diventa facili ostaggi degli uffici tecnici e/o della propria vanità. È il caso di Piero Grasso, balzato direttamente dalle aule giudiziarie all’aula del Senato col ruolo di presidente. Fu un’intuizione di Pierluigi Bersani, evidentemente sedotto dalle regole non scritte della politica spettacolo. Nel marzo del 2013, l’allora leader del Pd volle che sullo scranno più alto della Camera sedesse una donna nota per l’impegno a favore dei migranti (Laura Boldrini) e su quello del Senato un magistrato noto per l’impegno contro la mafia (Piero Grasso). 

DUE BANDIERINE, due simboli; i vertici delle istituzioni interpretati come una vetrina politica di parte. Tutto quel che ne seguì è la logica conseguenza di quella scelta. La lista degli errori e delle forzature procedurali commesse da Grasso è lunga. Per carità di Patria e mancanza di spazio ci limitiamo all’ultima. Grasso è stato evidentemente contagiato dal morbo politico, si è fatto quattro conti, ha concluso che gli conveniva seguire il vento, rompere con Renzi ed ergersi a federatore dei partiti alla sinistra del Pd. Occorreva, perciò, un gesto eclatante. L’ha fatto: ha detto che aveva taciuto fino a quel momento «per rispetto del ruolo istituzionale» che ricopre, e non appena l’aula del Senato ha approvato la nuova legge elettorale (il Rosatellum) ha denunciato «la violenza» esercitata dal governo sul parlamento col voto di fiducia e ha dato l’addio al Pd. Punto primo: lo scorso anno Grasso criticò durissimamente la riforma del Senato ben prima che venisse approvata, evidentemente infischiandosene del proprio ‘‘ruolo istituzionale’’. Punto secondo: il 51% delle leggi approvate da quando Paolo Gentiloni è premier è passato con voto di fiducia senza che Grasso denunciasse “violenza” alcuna. Punto terzo: parlando di “violenza” la seconda carica dello Stato ha messo in mora la prima (il presidente della Repubblica), essendo noto che Mattarella aveva informalmente autorizzato l’uso della fiducia e si accingeva a controfirmare la nuova legge elettorale. Punto quarto: la fiducia è stata posta perché, mal interpretando il regolamento del Senato, Grasso dispose il voto segreto sulla riforma costituzionale e sulla parte dell’Italicum che toccavano le minoranze linguistiche, creando così un precedente che il governo, temendo imboscate parlamentari sul Rosatellum, ha aggirato ponendo la fiducia. Insomma, se al Senato si è deciso di porre la fiducia sul Rosatellum è stato soprattutto a causa dell’inesperienza del presidente Piero Grasso. Il quale, però, sul piano politico ha imparato in fretta: non è infatti lui il primo ad abusare del proprio ruolo istituzionale.