Mercoledì 24 Aprile 2024

Rigopiano, un superstite: "Cantavo per fare coraggio agli altri"

Vincenzo Forti, estratto vivo con la fidanzata: "Ero sicuro che ce l’avremmo fatta"

Hotel Rigopiano, Vincenzo Forti con la fidanzata Giorgia: superstiti

Hotel Rigopiano, Vincenzo Forti con la fidanzata Giorgia: superstiti

Penne (Pescara), 23 gennaio 2017 - «È COMINCIATO con una vibrazione. Poi un suono cupo che cresceva, che faceva paura. Tutti abbiamo pensato: ancora il terremoto! Ci siamo alzati per scappare fuori ed è stato allora che come un colpo di maglio la parete è esplosa. Sembrava un bombardamento, le colonne si sono piegate verso l’interno e una massa enorme ha riempito la stanza. Siamo precipitati nel buio più assoluto».   VINCENZO Forti, ristoratore di Giulianova, si è ritrovato in uno spazio angusto. «Ho pensato, sono vivo. E accanto a me era viva anche la mia fidanzata Giorgia. Ci siamo abbracciati, ci siamo seduti sul divanetto, che seppure spezzato da una colonna era ancora accanto a noi. Abbiamo scoperto che vicino a noi, in quello spazio angusto c’era anche un ragazzo di Monterotondo, Giampaolo. Che era ferito ma vivo e cercava di tenere su sua moglie. Abbiamo inziato a guardarci intorno con la luce dei telefonini. C’era poco spazio, forse un metro quadrato, a malapena potevamo alzarci. Ma non era troppo freddo. Avevamo sete, quello sì, ma per fortuna c’era la neve. Ne prendevamo un po’ in bocca e ci dissetavamo, anche se non davvero: la sete è stata una costante per tutte le 58 ore che abbiamo passato là sotto. Subito ci siamo interrogati su cosa fosse successo e ci siamo convinti che l’hotel era stato colpito da una valanga causata dal terremoto. Solo ora sappiamo che il sisma non c’entrava nulla».   «NELL’IMPATTO – prosegue – la sala è stata letteralmente spostata di una decina di metri, siamo finiti a terra, trascinati, io ho perso le scarpe. Abbiamo capito che dovevamo tenerci caldi, così ho indossato anche un paio di leggins della mia fidanzata. Piano piano abbiamo sentito altre voci attorno a noi e questo ci ha confortato. C’era una signora di nome Adriana, con il suo bambino. La donna, a sua volta, era in grado di sentire sua figlia che stava in un’altra stanza con altri due bambini, dei quali noi sentivamo solo voci indistinte. C’era poi una ragazza, Francesca, che si lamentava perché non riusciva a trovare il suo fidanzato. Continuava a chiamarlo: Stefano dove sei? Ma non aveva risposta». 

«Io – continua Vincenzo – ho sempre pensato che ci avrebbero trovati e lo dicevo a Giorgia, che un po’ ci credeva e un po’ no. Quando è finita la luce dei cellulari, è stata dura. Io parlavo, parlavo. Ho parlato per ore. Cantavo, pure. Un po’ per farmi sentire un po’ per tranquillizzare gli altri. Abbiamo anche pregato. Per fortuna tenendoci abbracciati ci siamo addormentati, e questo ci ha aiutato a far passare il tempo». «Quando ci hanno trovati – conclude – abbiamo iniziato a gridare. Prima abbiamo sentito un rumore di qualcosa di meccanico, sopra di noi, poi le loro grida, e noi abbiamo risposto. Hanno lavorato ancora fino ad aprire un passaggio. Ci hanno spiegato che cosa avrebbero fatto. E lo hanno fatto davvero. Tirarci fuori non è stato facile, siamo passati come nel tunnel di una miniera. Uscir fuori è stata un’emozione enorme. Ancora non posso crederci che io e Giorgia ce l’abbiamo fatta. Adesso voglio dimenticare, voglio essere felice con lei. E voglio andare in barca e andare a pescare. Che sarebbe la mia passione».