Mercoledì 24 Aprile 2024

Lo stallo è garantito

LA SCISSIONE nel Pd è evitabile a due condizioni. La prima: la Ditta, cioè l’ala postcomunista che ha guidato il partito fino al 2013, deve accettare che l’Usurpatore guidi la compagnia fino a quando un congresso non deciderà altrimenti. E non deve tirarla per le lunghe sperando che prima o poi Renzi finisca sotto un’automobile. La seconda: l’Usurpatore deve recedere per quanto possibile dalla tentazione di restituire alla Ditta il trattamento ricevuto alle elezioni del 2013 quando gli fu garantito un numero di seggi molto, molto inferiore al 40 per cento da lui guadagnato nelle primarie vinte da Bersani. Sia la Ditta che l’Usurpatore devono convenire che la scissione sarebbe una pessima cosa per il Pd (e questo sono affari suoi), ma anche per l’Italia che verrebbe condannata a una quasi certa ingovernabilità. Il sistema proporzionale è come le sirene dell’isola tirrenica di Anthemoessa: il loro canto era così seducente che chi si fermava ad ascoltarlo perdeva la ragione, fino a venirne risucchiato e distrutto.

IL CANTO irresistibile è la certezza di una presenza in Parlamento: basta un tre per cento di voti per entrare nel Palazzo. Una cuccagna. Già, ma una volta entrati tutti i partiti sono troppo deboli perché si trovi una qualunque maggioranza. I sondaggi, per quello che valgono, nella più generosa delle ipotesi assegnano all’ala scissionista del Pd un dieci per cento, che il segretario in carica è convinto di ridurre non poco. Al PdR – al partito di Renzi – resterebbe un venti per cento. Quello nell’ipotesi – possibile, ma finora smentita dalla Storia – che una scissione dia un risultato non inferiore alla somma dei partiti scissi, in genere puniti dagli elettori. Una coalizione tra la sinistra Pd e il PdR è ragionevolmente impensabile, visto che i due partiti si massacrerebbero in campagna elettorale. Al tempo stesso, una Grande Coalizione di tipo tedesco tra il PdR e Forza Italia – eppure con l’integrazione dei centristi di Alfano e Casini – avrebbero probabilmente meno del 40 per cento dei seggi e non sarebbe perciò in grado di indicare una maggioranza, a meno di arditi marchingegni sulla riforma della legge elettorale. La scissione avrebbe per il partito potenziale di Giuliano Pisapia l’effetto del taglio dei capelli a Sansone: perderebbe qualunque forza, oltre che qualunque senso.

La coalizione più forte sarebbe il vecchio centrodestra: Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia potrebbero arrivare a un 35 per cento, allo stato delle cose inservibile. Senza contare che Berlusconi benedice il proporzionale perché potrebbe smarcarsi da Salvini senza spargimenti di sangue. La stessa cosa desiderata dal capo della Lega. La coalizione post elettorale più forte sarebbe quella tra il M5S e il partito della sinistra Pd. Molto avventurosa e improbabile: la più vicina, comunque, a un 40 per cento. Forse inutile, ma temutissimo da Berlusconi. ULTIMO risultato della scissione, il M5S diventerebbe di gran lunga il primo partito italiano. Nonostante il disastro romano, il senso di egoismo e di lacerazione offerto dalla maggiore forza della sinistra sarebbe per il partito di Grillo un formidabile ricostituente. Questo è quanto. Alle frenetiche trattative delle prossime ore la risposta.