Il vicino di scrivania

E' vero: leggi simili hanno già fatto un lungo rodaggio nei Paesi anglosassoni. C’è un problema, però: noi non siamo né anglosassoni, né rodati. Dunque, il varo della norma che tutela il dipendente, pubblico o privato, che segnala illeciti o irregolarità sul posto di lavoro, va salutata con soddisfazione, ma con un pizzico di cautela. Perché non c’è dubbio che informare la giustizia di qualcosa che non va, non è certo fare la spia. Anzi, è un atto di onestà, e dunque un servizio alla collettività. Basta poco. Perché anche chi marca il cartellino poi va a fare la spesa, o chi prende qualche centinaio di euro per accelerare una pratica getta il seme dell’illegalità, vanifica i sacrifici di chi paga le tasse, di chi fa la fila e rispetta le regole. Se questo seme è tollerato, coperto, diventa complicità. Se è segnalato, non può e non deve certo trasformarsi in un boomerang per chi ha alzato la mano e detto: questo non si fa. Allora, è giusto unirsi al coro di soddisfazione per questa legge. Con la speranza, e la raccomandazione che non diventi involontario lasciapassare per piccole vendette personali, per rappresaglie verso il collega antipatico, o il capoufficio severo. «Tanto sono coperto». Una raccomandazione che dobbiamo fare prima di tutto a noi stessi, sapendo come basti poco perché il venticello di una calunnia diventi il ciclone che travolge una vita. Poi all’autorità che riceve la denuncia, sapendo che in Italia nulla è più noto del segreto d’ufficio, in maniera che la pratica viaggi veramente, come vuole la legge, nella più totale discrezione fino all’accertamento finale. E dopo. Dovremo abituarci, rodarci. Per non considerare spia chi ha denunciato una malefatta. E per non diventare spie, denunciando chi non ha fatto niente di male.