di Mattia Todisco
Una finale europea, dieci anni dopo. Dalla Champions del 2010 all’Europa League del 2020, l’Inter ha dovuto attendere una decade ma il 21 agosto a Colonia contro il Siviglia avrà la possibilità di alzare la quarta Coppa UefaEuropa League della sua storia. Sarebbe la prima volta di un’italiana da quando è avvenuto il cambio di denominazione, opportunità che i nerazzurri hanno conquistato battendo 5-0 in semifinale lo Shakthar Donetsk. Una vittoria meritata, come quelle già arrivate contro Getafe e Bayer Leverkusen, prima ancora contro Genoa, Napoli e Atalanta in un finale di campionato che ha permesso di chiudere al secondo posto in Serie A.
Il sesto acuto consecutivo in tutte le competizioni è frutto di una superiorità evidente, rispetto all’avversario di serata. Fin dai primi minuti il pressing ordinato da Conte costringe Pyatov a giocare spesso il pallone coi piedi, con alterne fortune. Lacune note al tecnico, evidentemente, perché di maglie in agguato per raccogliere eventuali palloni nel vuoto ce ne sono sempre e quando uno di questi arriva a Barella i prodromi per il vantaggio si materializzano grazie al tempismo di Martinez e alla perfetta inzuccata sul secondo palo. Gli ucraini soffrono terribilmente sui cross provenienti dagli esterni. Non sanno come prendere le misure sui tagli, non fosse per D’Ambrosio e Lukaku che si ostacolano a un passo dalla porta avversaria sarebbero già sotto di due poco prima della mezzora.
L’arma in più dello Shakhtar è il fraseggio, quando ha possibilità di farlo. Con l’avanzare dei minuti emerge lo stile brasiliano di una squadra con una forte presenza verdeoro in squadra, nei suoi pregi e nei suoi difetti. Tutti vogliono la palla sui piedi, Junior Moraes riceve ben poca assistenza in area e la sfera gira spesso in orizzontale più che in verticale. L’Inter, partita con una pressione alta addosso ai difensori avversari (ben meno dotati degli avanti) decide di rannicchiarsi e aspettare che sia o Shakthar a muoversi. Spera di poter sfruttare spazi che faticano ad aprirsi perché ai nerazzurri manca capacità nel rubare il possesso e ripartire velocemente, appoggiandosi a Lukaku come accaduto con frequenza nell’incontro con il Bayer Leverkusen.
A volte sbagliano i compagni, a volte è il belga che non riesce a ad anticipare il movimento per uscire dalla marcatura. Fatto sta che la squadra deve affidarsi a nuove strategie e alla vena di Martinez, a un passo dalla doppietta con un pallonetto che, per una volta, esalta le doti di Pyatov.
A tenere vivi gli ucraini sono soprattutto le imprecisioni dell’Inter nelle transizioni ed è un rischio grosso. Moraes va a un passo dal punire l’incapacità nerazzurra di far valere i valori maggiori e gli dei del calcio non perdonano perché 1’ dopo è D’Ambrosio a centrare il bersaglio di testa su corner di Brozovic. A questo punto la discesa diventa un volo controllato in picchiata, sancito dalla doppietta di Martinez (21 in stagione) e dal doppio sigillo di Lukaku (giunto a quota 33 con dieci gare consecutive a segno nella storia del torneo). Ora manca una gara. Sarà quella decisiva.