Mercoledì 24 Aprile 2024

La dura vita dell’allenatore

Doriano Rabotti

È vero, storicamente siamo il paese più efficace nell’arte di arrangiarsi, anche se non è sempre detto che sia un bene. Ma non basta lo stellone italico, non basta la nostra innata capacità di dare il meglio nelle difficoltà a spiegare l’incredibile sequenza di successi dopo la riapertura post-Covid.

Magari un sociologo o uno psicologo potranno trovare un nesso, tra le costrizioni del lockdown e la processione continua su ogni podio possibile che si è scatenata alla ripartenza, dagli Europei di calcio alle Olimpiadi e Paralimpiadi dell’anno scorso, agli Europei di Scherma e ai Mondiali di nuoto di questi giorni, solo per citare alcuni degli esempi vincenti.

La verità è che lo stesso paese che non ha le piscine e i velodromi per fare crescere i suoi campioni, che solo ora sta rimediando ai ritardi per avere a Cortina una pista da bob e slittino degna delle nostre nazionali, questo stesso paese che va a fondo tra burocrazia e veti incrociati poi si riscatta e unisce quando c’è da puntare a una medaglia. I campioni continuano a nascere, grazie a mamme e papà italiani, spesso di seconda generazione perché crescere facendo fatica nella vita rende più sopportabili gli sforzi dello sport. Ma la chiave vera, forse, sta in un’altra figura, che in Italia non è apprezzata quanto meriterebbe. Ed è quella dell’allenatore.

Ne abbiamo tanti bravissimi in tutte le discipline.

Come i maestri delle scuole, spesso non si vedono riconosciuti i meriti che hanno.

Ed è un peccato.