Venerdì 26 Aprile 2024

I ribelli accorciano la tappa: che presa in Giro

Pioggia e stanchezza: un fronte di corridori si ammutina al via, vota e fa tagliare 100 km. L’ira di Vegni: "Un agguato, qualcuno pagherà"

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di Angelo Costa

Dal figurone sullo Stelvio alla figuraccia il passo è brevissimo. Al risveglio da una tappa memorabile, i ciclisti sfregiano il Giro: prima mutilano la tappa, poi trasformano in passeggiata quel che ne resta. Motivi di sicurezza, spiegano. Altro che: un po’ di pioggia e una temperatura di 13 gradi, clima che in ottobre non sconsiglia di pedalare nemmeno alle casalinghe. E invece sconsiglia chi va in bici per mestiere: 256 chilometri saranno anche tanti, ma non sono certo una sorpresa, perché decisi mesi prima, non durante la notte.

Nella notte comincia il tam tam dei corridori: sulla chat dei corridori, c’è chi propone di chiedere uno sconto sul viaggio da Morbegno ad Asti. C’è stanchezza in gruppo, anche se, tappone dello Stelvio a parte, di giornate eroiche in questo Giro non c’è memoria. Al mattino la pioggia fa il resto: riunione a due passi dal palco della firma, un paio di ciclisti stranieri a far da capipopolo, guarda caso delle squadre che già avevano minacciato di andarsene per il Covid, votazione a maggioranza per alzata di mano e partenza che slitta cento chilometri più a valle. Tutto a venti minuti dal via. "Un agguato", commenta secco il patron rosa, Mauro Vegni.

Agguato o altro che sia, la tappa si trasforma in farsa, con i bus richiamati dalle squadre per caricare i corridori, già fradici dopo un giretto sotto la pioggia a Morbegno per salvare ciò che resta della partenza. Finisce qui la tappa prevista: quella che va in scena dopo pranzo, più che dimezzata, la vince il ceco Josef Cerny, col beneplacito del gruppo che lascia andar subito in fuga una quindicina di atleti per spassarsela a ritmo scampagnata.

Come finisce la tappa, si accende un’altra corsa: quella a scaricare le responsabilità. Ne hanno tutti, pur non accorgendosene: i ciclisti che prendono decisioni in assemblee improvvisate, esautorando chi li rappresenta, i direttori sportivi presi in contropiede dai loro atleti, gli stessi organizzatori che farebbero meglio a imporre ai corridori il percorso stabilito, costringendo i ribelli a correre come da programma o a farsi da parte. Ne esce una gazzarra in cui nessuno sembra aver avuto peso su questa giornata assurda, ne esce sconfitto il ciclismo.

"E’ stata una figuraccia mondiale, vanificati tutti i nostri sacrifici. Ora pensiamo ad arrivare a Milano, poi qualcuno pagherà", dice un infuriatissimo Vegni, aggiungendo che più di un corridore, ignaro di quanto stesse accadendo, si era comunque schierato al via. Durissimi i manager delle squadre: il decano Bruno Reverberi sottolinea che "se i sindacalisti non hanno i corridori dalla loro parte devono dimettersi", più secco Marc Madiot, che twitta "se non accettiamo la stanchezza nella terza settimana dobbiamo cambiar mestiere". Quanto ai corridori, Nibali lancia una frecciata ai colleghi ("Non si discutono questioni simili in chat"), la maglia rosa Kelderman conferma che il desiderio di una tappa corta era legato al clima. "Anche al Sestriere farà molto freddo", aggiunge: se il meteo oggi dovesse volgere al brutto, basterà chiamare il pullman.