Governo Conte, squadra al completo. Risiko deleghe e commissioni

Con le nomine e il giuramento dei 6 viceministri e dei 39 sottosegretari l'esecutivo può ora lavorare a pieno regime. Lo stesso non si può dire del Parlamento. Restano infatti nodi da sciogliere

Il governo Conte al gran completo (ImagoE)

Il governo Conte al gran completo (ImagoE)

Roma, 16 giugno 2018 - "Metteteci impegno e cuore", ha detto loro il premier, Giuseppe Conte, allo stuolo dei 45 ‘nominati’ nella squadra di governo (sei viceministri e 39 sottosegretari), quando hanno giurato il 12 giugno nelle sue mani a palazzo Chigi. Con queste nomine, la squadra del governo è completata e l’esecutivo può lavorare a pieno regime. Il Parlamento no, come vedremo, perché mancano ancora le nomine dei presidenti delle commissioni ordinarie, speciali e bicamerali (per loro bisognerà attendere almeno settimana prossima), il che vuol dire che il Parlamento, sia dal voto del 4 marzo, sia dall’insediamento dei presidenti, il 22 aprile, e dei relativi uffici di presidenza, tra l’altro da poco integrati, è sostanzialmente fermo. Tranne quattro sedute della ‘commissione speciale’ (una bicamerale, come già avvenne nella passata legislatura), che ha esaminato e votato il Def, Camera e Senato si sono riunite e hanno lavorato per esaminare quattro decreti legge, votandone solo uno. Eppure, sono passati più di 90 giorni dalle elezioni. Un record in negativo, come anche quello della crisi di governo (la più lunga della storia repubblicana), durata 88 giorni.

L’esecutivo Conte: molti giovani, pochissime donne

Ma si diceva della squadra di governo. Il governo Conte è il più giovane, per età, dal IV governo Berlusconi, con 46 anni di media, sei anni sotto quella delle ultime quattro legislature. A fare la differenza sono stati proprio i sottosegretari, molti giovanissimi, in media sui 45 anni (il 30% ha meno di 40 anni e un altro 39% meno di 50 anni). L’età media dei ministri, però, è più alta, cinque anni in più. Il governo più ‘maturo’, tra gli ultimi sei, fu quello Monti, con una media di 61 anni di età. Ma, dal Berlusconi IV a oggi, il governo Conte è anche il più numeroso: conta, infatti, 65 componenti: 18 ministri (12 con portafoglio e sei senza portafoglio), sei viceministri e 40 sottosegretari. Il dato che fa schizzare in alto il numero è quello dei sottosegretari. Se in media, dalla XVI legislatura a oggi, ne sono stati nominati 34 (erano 38 nel Berlusconi IV, 36 con Renzi, 35 con Gentiloni, 31 con Letta e solo 26 con Monti), la squadra di Conte ne avrà, appunto, 40.  Per numero di ministri, invece, il governo gialloverde è al secondo posto, dietro i governi Berlusconi e Letta, primi a ex equo con 21 (Gentiloni e Letta avevano 18 ministri, Renzi solo 16). Scarsino anche il numero di donne. Il governo Conte ha la terza percentuale rosa più bassa dal Berlusconi IV ad oggi. Durante la scorsa legislatura, la XVII, la percentuale rosa si era attestata al 27-29%, ora siamo al 17,1%. A fare la differenza, anche qui, è la squadra dei sottosegretari, quasi tutti uomini. Solo il governo Monti ha avuto una presenza di donne più bassa (12,7%), seguito dal Berlusconi IV (15,2%) mentre Conte è il terzo nella scala rosa negativa. Il primato è del governo Letta, 29,3%, ma guardando solo ai ministri il più rosa di tutti è stato il governo Renzi, 8 su 16.

La squadra gialloverde: i nomi e le deleghe

La squadra del governo, dunque, è completa, ma le deleghe (tranne ai ministri senza portafoglio) non sono ancora state attribuite, neppure nell’ultimo cdm di giovedì 14 giugno. Ancora fino a venerdì 15 luglio, sia l’M5S che la Lega erano, sulla questione deleghe, in piena trattativa interna. Ma vediamo prima tutti i nomi della squadra di governo, ripartito secondo le vecchie regole del 'manuale Cencelli'. Infatti, su 18 ministri (12 con portafoglio e sei senza), sono sei quelli spettati alla Lega (tre con portafoglio e tre senza) e nove quelli andati ai 5Stelle (7 con portafoglio, 2 senza) più due ministri tecnici o di area. Nell’ambito del ‘sottogoverno’, sono 25 i sottosegretari indicati dal M5S, 17 dalla Lega, due i tecnici e uno espressione del Maie mentre i sei viceministri sono tutti espressione del M5S. 

Agli Esteri, sotto il ministro Moavero Milanesi (tecnico), vanno Emanuela Del Re, a suo tempo candidata a dirigere la Farnesina nel governo 'ombra' M5S, docente di geopolitica. Arriva alla Farnesina anche l’ingegnere informatico Manlio di Stefano (M5S), uno dei più convinti fautori di un rapporto ‘disteso’ con la Russia e la Palestina. Agli Esteri arriva anche l'italo-argentino Ricardo Antonio Merlo, fondatore del Movimento Associativo Italiani all'Estero e Guglielmo Picchi, consigliere di Salvini per la politica estera. 

Agli Interni, a coadiuvare Salvini, che è anche vicepremier, la squadra sarà composta da quattro sottosegretari: il leghista Nicola Molteni, presidente della Commissione speciale e il collega Stefano Candiani. Luigi Gaetti e Carlo Sibilia per l’M5S. Solo in due a coadiuvare il ministro Alfonso Bonafede (M5S): il pentastellato Vittorio Ferraresi e per la Lega Jacopo Morrone. Alla Difesa, a 'circondare' il ministro Trenta (M5S), arrivano il 5Stelle Angelo Tofalo (ex deputato) e per la Lega Raffaele Volpi

Al Mef, sotto la direzione del tecnico Giovanni Tria, arrivano due viceministri, la 5Stelle torinese Laura Castelli e per il Carroccio Massimo Garavaglia. I sottosegretari saranno Massimo Bitonci della Lega e Alessio Villarosa del M5S. Allo Sviluppo Economico, sotto la direzione del vicepremier Di Maio, il M5S porta l'avvocato Andrea Cioffi e Davide Crippa, la Lega Dario Galli, come viceministro, e Michele Geraci (tecnico), legato a doppio filo con la Cina. All’Agricoltura, dove il ministro è Centinaio (Lega), ecco Franco Manzato (M5S) e Alessandra Pesce, candidato ministro nel governo 'ombra' M5S. 

All’Ambiente, sotto il ministro Costa (M5S), sono stati nominati Vannia Gava (Lega) e Salvatore Micillo (M5S). Alle Infrastrutture, date in mano al pentastellato Toninelli, vanno il 5Stelle Michele Dell'Orco (non eletto) e i leghisti Edoardo Rixi e Armando Siri, il teorico della flat tax. Al Lavoro, ministero sempre in capo a Di Maio, vanno Claudio Cominardi (M5S) e Claudio Durigon per la Lega. All’Istruzione, sotto la regia del ministro Bussetti (Lega), il M5S porta l'economista di Pretoria Lorenzo Fioramonti e il preside brindisino Salvatore Giuliano.

Al ministero della Cultura e del Turismo, sotto la regia di Bonisoli (M5S), ci sono la leghista bolognese Lucia Borgonzoni, nipote del pittore e partigiano Aldo Borgonzoni, e il 5Stelle Gianluca Vacca. Alla Salute, appaltata alla pentastellata Grillo, vanno il patologo Armando Bartolazzi, voluto da Di Maio nel governo ombra M5S, e il leghista Maurizio Fugatti.

Passando ai ministeri senza portafoglio, ai Rapporti con il Parlamento, sotto la regia di Fraccaro (M5S), ci sono Guido Guidesi (Lega), Vincenzo Santangelo e Simone Valente, entrambi M5S. Alla Pubblica amministrazione, sotto la Bongiorno (Lega), c’è solamente Mattia Fantinati (M5S). Agli Affari regionali, dove regna il leghista Stefani, ci sarà solo Stefano Buffagni (M5S, commercialista milanese che era dato in pole per il Mise, da cui poi è stato escluso). Al dicastero per il Sud, sotto la Lezzi (M5S), ecco Giuseppina Castiello (tecnico). Alla Famiglia e ai Disabili, sotto il leghista Fontana, ecco Vincenzo Zoccano, non vedente e al vertice Forum Italiano sulla Disabilità (Lega).  Agli Affari regionali, territorio di caccia del tecnico Paolo Savona, arriva il magistrato Luciano Barra Caracciolo (tecnico). Infine, sottosegretari alle dirette dipendenze della Presidenza del Consiglio saranno Vito Claudio Crimi; primo capogruppo M5S nella passata legislatura, con la delega all’Editoria, e Vincenzo Spadafora, braccio destro di Di Maio e un passato come Garante dell’Infanzia, con la delega alle Pari Opportunità e ai Giovani, mentre il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giorgetti (Lega) assumerà il controllo del Cipe. Solo la delega ai Servizi segreti resta in capo direttamente al premier Conte.

Ancora aperta, infine, anche la partita dei vertici della macchina amministrativa di Palazzo Chigi. Resta infatti da scegliere il segretario generale, sui cui non vi sarebbe ancora condivisione tra il premier, che vedrebbe con favore Giuseppe Busia, e i vicepremier, Salvini e Di Maio, che vorrebbero una figura più politica e cioè più controllabile.

DELEGHE - Per quanto riguarda le deleghe, come si diceva, la battaglia è ancora aperta. Al viceministro all'Economia in quota M5S, Laura Castelli, dovrebbero andare le deleghe sui conti pubblici (che erano di Enrico Morando) e gli enti locali. Mentre al viceministro al Mef in quota Lega, Massimo Garavaglia, dovrebbe essere affidata la delega al fisco. Per quanto riguarda i sottosegretari, sempre del Mef, ad Alessio Villarosa (M5S) dovrebbe andare la delega ai giochi. Tema molto caro, però, anche all'altro sottosegretario, Massimo Bitonci, ex sindaco leghista di Padova che ha presentato in Parlamento una pdl proprio sulle limitazioni degli orari di uso delle slot e di contrasto alla ludopatia. Ancora in forse, così si dice, a chi affidare invece la delega sulle banche.

Al centro del braccio di ferro sulle deleghe ci sono anche quelle da distribuire al ministero dei Trasporti. La partita (politica) è ancora aperta. La Lega vorrebbe per sé la delega ai porti, fondamentale per la gestione dei migranti, da affidare a Edoardo Rixi, ma un’altra delle ipotesi in campo è che il ministro Toninelli (M5S) mantenga per sé la Guardia Costiera e quindi il controllo sul tema migranti. Un'altra delega importante, quella alle Telecomunicazioni, che fa capo al ministero dello Sviluppo, sarà mantenuta dallo stesso ministro, cioè Luigi Di Maio, e non da un sottosegretario ad hoc, come nelle passate legislature. Notizia che ha fatto infuriare, e non poco, Silvio Berlusconi contro Matteo Salvini al grido “i patti non erano questi!”: Berlusconi, infatti, ora teme per la sorte delle tv Mediaset.  

Uffici di presidenza e commissioni ordinarie e speciali

Come effetto domino della chiusura della compagine di governo, il 15 giugno sono stati eletti dalla Camera anche un questore e un vicepresidente, dopo la nomina di Riccardo Fraccaro (M5S) e Lorenzo Fontana (Lega) a ministri. Al posto del primo è andato Federico D'Incà (M5S) mentre la seconda casella, dove era in pole position Raffaele Volpi (Lega), diventato sottosegretario, il Carroccio ha preferito, d’accordo con i 5Stelle, offrirla a Fabio Rampelli, capogruppo di FdI alla Camera, per rafforzare la vicinanza del partito della Meloni al governo, pur senza essere entrata nella maggioranza di governo. Ma FdI ha appetito: punta anche a una delle due Commissioni di garanzia che spettano all'opposizione, Copasir, Vigilanza Rai: la prima la reclama il Pd, la seconda nel mirino di FI, i due principali partiti di opposizioni che invocano una antica (e non scritta) ‘legge’ di buona creanza parlamentare che vede, per prassi, assegnare le due commissioni di garanzia alle opposizioni. Il guaio è che anche FdI si considera tale.

E così, passando dal governo al Parlamento, sarà la prossima settimana quella decisiva, così come chiesto più volte anche dal presidente di Montecitorio Roberto Fico, per rendere operative le commissioni parlamentari e sceglierne quindi componenti e presidenti, visto che – come si diceva all’inizio – la mancanza della loro costituzione rende impossibile il regolare funzionamento delle Camere.

Si tratta, giusto per far di conto, di ben 28 commissioni permanenti, tra Camera e Senato, dieci commissioni bicamerali permanenti, 13 commissioni d’inchiesta (bicamerali e monocamerali) speciali e cinque Giunte per le varie autorizzazioni, ma anche di quattro delegazioni presso organismi Ue e internazionali, un comitato legislativo. In tutto, si tratta di 61 posti da presidente, un bel bottino.

Sempre dentro la maggioranza di governo, che ha i numeri per eleggersi da sola tutti i presidenti, e che così farà, un'intesa sarebbe stata trovata, ma solo sulle principali. Si tratta delle due commissioni Bilancio e Finanze che alla Camera vedrebbero ai vertici, rispettivamente, Claudio Borghi della Lega e Carla Ruocco del M5S mentre al Senato sarebbero in pole position il pentastellato Daniele Pesco e il leghista Alberto Bagnai (a Bilancio e Finanze). Un accordo che testimonia il metodo – da puro 'manuale Cencelli', appunto, dei due partiti di maggioranza, quello dell'alternanza (in una Camera un leghista, nell’altra Camera un pentastellato e così via, commissione per commissione). Tra le commissioni chiave c’è, ovviamente, la Affari costituzionali: a Montecitorio potrebbe essere guidata da Fabiana Dadone (M5S) mentre al Senato si fa il nome di Stefano Borghesi (in alternativa Gianluca Perilli del M5S). Alla Camera, poi, a coordinare i lavori della commissione Giustizia potrebbe essere il deputato Andrea Giaccone (Lega) mentre per la commissione Esteri si fa il nome di Marta Grande (ma al Senato potrebbe reclamarla il M5S Vito Petrocelli). L'Agricoltura potrebbe essere affidata a Dedalo Pignatone o, in alternativa a Barbara Saltamartini (Lega), mentre le Politiche Ue andrebbero a Sergio Battelli.

Lo scontro con le opposizioni su Copasir e Vigilanza

Ma da eleggere ci sono anche le cinque Giunte e commissioni bicamerali speciali che, come si ricordava, di solito vengono sempre date in appannaggio alle opposizioni – prassi consolidata che Lega e M5S vorrebbero violare. A Montecitorio, la Giunta per le elezioni vede in pole Francesco Paolo Sisto (FI). Nello schema consueto, la Vigilanza Rai e il Copasir toccherebbero a FI e al Pd, con Maurizio Gasparri o Paolo Romani (FI) per la prima e Lorenzo Guerini (Pd) per la seconda. FI e Pd, proprio per cercare di venire a capo del risiko e non subire troppi danni, hanno già fatto una riunione tra di loro mandando su tutte le furie Fdi, che insiste nel reclamare il Copasir nonostante abbia conquistato una vicepresidenza di Montecitorio. Per i dem la ventilata ipotesi di non attribuire alle opposizioni – e cioè al loro stesso partito, per Guerini – una commissione delicata come il Copasir, che vigila sull’operato dei servizi segreti militare e civile, rappresenterebbe "un fatto gravissimo, un atto inaudito" in violazione di tutte le regole e minacciano di disertarne le sedute in caso di assegnazione della presidenza a un esponente di opposizione ‘light’ al governo, FdI, che invece non si considera in maggioranza. “E’ una manovra in corso del segretario della Lega - attacca un 'big' dem - per controllare anche i Servizi. E' una cosa inaccettabile per la democrazia”. Vedremo come finirà.

Le altre partite. Dalla Cdp alla Rai

Infine, la partita delle partecipate, da Cdp alla Rai. In questo caso la scadenza è fine giugno: Cassa depositi e prestiti ha rinviato di qualche giorno la presentazione della lista per il Cda: in pole resta il tandem Massimo Tononi-Massimo Sarmi per la presidenza e di amministratore delegato, anche se c'è chi non esclude che l'ex ad di Poste alla fine salti lasciando il posto a Fabrizio Palermo. In sospeso anche il ricambio dei vertici dei servizi segreti.