Mercoledì 24 Aprile 2024

Cuba si toglie l’embargo: sì ai pugni da ’pro’

Cade dopo sessant’anni lo storico divieto: i pugili possono lasciare il dilettantismo. Il rimpianto per il mancato show tra Alì e Stevenson

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di Leo Turrini

Sul regime di Fidel Castro giudicherà la storia. Ma di sicuro è già stato emesso un verdetto, almeno per quanto riguarda il mancato allestimento di una sfida a suon di cazzotti che avrebbe fatto epoca.

E’ ieri la notizia che il governo di Cuba ha deciso di consentire di svolgere attività professionistica ai suoi formidabili pugili. Gente che ha imparato a fare a botte sui ring delle palestre dell’Avana. Sempre e solo, però, con la maglietta e il casco da dilettanti. Il bilancio è impressionante: ottanta titoli mondiali e quarantuno olimpici.

Adesso, forse perché si parla di una esclusione della boxe dal programma dei Giochi a causa di troppi scandali legati ad arbitraggi francamente discutibili, gli eredi di Fidel aprono la porta. Consentiranno ad alcuni dei loro talenti di combattere tra i professionisti, all’inizio in Messico poi in Europa e forse anche in America.

Il rimpianto. Purtroppo, è troppo tardi per quello che sempre rimasto il Match dei Sogni. Il duello che, nell’epoca d’oro del pugilato, avrebbe dovuto opporre Muhammad Ali a Teofilo Stevenson.

Il cubano Stevenson è stato uno dei più grandi atleti del Novecento. Scultoreo, potente ma elegantissimo nelle movenze, vinse tre ori olimpici consecutivi. Monaco 1972, Montreal 1976, Mosca 1980.

Nello stesso periodo, Muhammad Ali aveva sublimato artisticamente la boxe. Il suo impegno civile contro il razzismo fece di lui un simbolo: grazie anche a rivali fortissimi come Joe Frazier, George Foreman e Ken Norton, il pugilato toccò livelli di popolarità mai più raggiunti.

Ali, che aveva anche un rapporto personale con Fidel Castro, si diede un gran da fare per rendere possibile la sfida che avrebbe messo a confronto due mondi, due culture e che forse, nella sua ingenuità, egli immaginava anche come un modo di superare le contrapposizioni politiche tra Washington e L’Avana.

Ma erano tempi di guerra fredda e dunque tutti i tentativi si schiantarono contro il gelido realismo del Sistema.

Probabilmente, Stevenson ci avrebbe anche tenuto, per una questione di orgoglio. Tra i dilettanti era troppo superiore, tanto che fece scalpore una sua rara sconfitta contro il nostro Francesco Damiani. Incrociare i guantoni con il più grande di tutti, The Greatest, avrebbe rappresentato un omaggio alla cultura pugilistica del suo Paese.

Teofilo Stevenson mori’ a soli 60 anni, per un infarto, nel 2012. A proposito del combattimento che non fu, gli venne attribuita una frase: "Mi avrebbero dato cinque milioni di dollari per sfidare Ali: ma era più importante l’affetto di otto milioni di cubani".

Magari non l’ha mai detto, eppure suona dannatamente bene.